Salviamola noi, subito, la pace in Palestina
Ali Rashid
dal "Manifesto" del 29 febbraio
Tra incursioni dei carri armati e bombardamenti aerei continua da mesi l'offensiva militare israeliana nei territori occupati palestinesi. Il bilancio delle vittime è molto alto, solo negli ultimi due giorni sono caduti nella Striscia di Gaza 27 palestinesi, di cui molti civili, compresi 9 bambini, una di loro di appena cinque mesi. Il numero dei feriti sarebbe il triplo. Mentre sto scrivendo, Al Jazeera parla di un nuovo raid aereo con altre vittime.
Il premier israeliano Olmert minaccia di intensificare gli attacchi come rappresaglia ai lanci dei missili artigianali Qassam da parte di Hamas contro le cittadine israeliane prossime alla Striscia, sottolineando che «nessuno di Hamas, dal più grande al più piccolo, può considerarsi al sicuro». Un missile, infatti, ha sfiorato l'ufficio di Haniyeh, già primo ministro del governo d'unità nazionale.
Nei prossimi giorni, nonostante che settori della società israeliana parlino di «trattare anche con Hamas», assisteremo ad un ulteriore salto qualitativo nelle operazione militari israeliane e non solo contro la Striscia di Gaza. Eventualità che ha indotto Hussein di Giordania a recarsi negli Stati Uniti per parlare del processo di pace con Bush. Di fronte alla morte quotidiana seminata dall'esercito israeliano, con Hamas si sono schierate le altre organizzazioni palestinesi, compreso il braccio militare di Al Fatah. Cosa che rende ancora più difficile la posizione di Abu Mazen che ha condannato più di una volta il lancio dei Qassam da parte di Hamas chiedendone l'immediata cessazione per non fornire a Olmert e al ministro della difesa Barak un pretesto per disimpegnarsi dalle dichiarazioni, assai vaghe, della conferenza di Annapolis. Di più c'è da dire che Olmert ha il bisogno politico di far dimenticare la sconfitta militare subita da Hezbollah nel 2006 in Libano. Si apre una fase delicata che potrebbe allungare la vita del governo Olmert e offrire a Barak la possibilità di presentarsi come l'uomo forte, in grado di risolvere militarmente tutti i problemi d'Israele, come del resto è sempre avvenuto in passato.
La repressione militare non ha risparmiato altre zone come Nablus nel nord della Cisgiordania, dove da mesi non s'erano registrate attività militari dei palestinesi. Addirittura ieri ci sono state altre quattro vittime tra i palestinesi, uccisi a sangue freddo da una pattuglia di soldati israeliani mimetizzati da arabi com'è accaduto spesso nell'Intifada. I caduti fanno parte di Al Fatah, si tratta di giovani che hanno aderito al piano di Abu Mazen e che si erano dissociati dalla resistenza armata. Un atto che viene letto come un schiaffo al presidente palestinese e un ulteriore sfregio alla sua credibilità .
Hamas proprio a partire dal ruolo che gioca come unica forza che ha il controllo di Gaza, avrebbe dovuto essere più responsabile e fare in modo di risparmiare ogni nuova sofferenza inutile al suo popolo. Nella Striscia sotto assedio da lunghi mesi ormai scarseggia tutto. Mancano i medicinali, il cibo, quella poca acqua che c'è non è potabile, manca il carburante e tutti i generi di prima necessità. Per rappresaglia, l'esercito Israeliano ha distrutto tre anni fa la centrale elettrica mettendo a rischio il funzionamento di tutto, dagli ospedali alle centrali di smaltimento dei rifiuti che ormai dipendono dalle forniture di Israele. Gaza ormai è una grande prigione a cielo aperto. Un grande campo di concentramento controllata «al microscopio», giorno e notte, attraverso satelliti e aerei spia. Ad Israele non sfugge nulla e nessuno, e fa delle punizioni collettive a largo o intenso spettro un uso sistematico, senza che nessuno intervenga o dica nulla. Dov'è l'Europa? E dove l'Italia? Nel silenzio della comunità internazionale i palestinesi - e non solo loro - avvertono una grave complicità. A differenza di quanto avviene qui, in quel mondo non molto lontano, in Medio Oriente, centinaia di milioni di persone vedono in diretta attraverso le tv satellitari non uno «spettacolo» ma una sofferenza ormai fuori dalla soglia della narrabilità. Queste immagini quotidiane, che è certo non aiutano il senso d'equilibrio, parlano invece del silenzio e dell'omertà che circondano questa tragedia. Tantopiù che la ferita sempre aperta della Palestina rappresenta il cuore delle altre crisi internazionali, delle altre guerre e missioni militari che l'Occidente conduce - in Iraq, in Afghanistan, in Libano - dopo l'11 settembre.
Si vuole azzerare ogni possibilità di pace? Perché ieri i missili intelligenti dell'aviazione israeliana hanno colpito la clinica Medical Relief, distruggendone anche l'unica ambulanza. Si tratta di una clinica costruita anche grazie ad una campagna di solidarietà sostenuta da il manifesto e promossa dall'Associazione Gazzella, fondata dalla nostra amica Marina Rossanda e da Giancarlo Lannutti. Due compagni dei quali davvero sentiamo tutto il peso della scomparsa per la loro passione per la pace in Palestina. In questi giorni di campagna elettorale dove la questione della pace e della guerra è incredibilmente scomparsa dai programmi dei grandi come dei piccoli partiti. Eppure anche la tragedia della Palestina come la guerra in generale sono diventati il costante strumento politico nel governo del mondo che abbiamo ereditato. Queste crisi dovrebbero ricordarci quanto sia necessaria una forte affermazione della sinistra. E insieme ricordare alla sinistra che l'impegno contro la guerra non è un lusso o un belletto dei programmi, ma un asse costante e rigoroso. Perché allora non apriamo una sottoscrizione in piena campagna elettorale per ricostruire la clinica Medical Relief e riacquistare l'ambulanza distrutta. Così, almeno, la pace contro la guerra potrebbe tornare ad essere utile anche alla nostra campagna elettorale.
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