Il candidato della Sinistra Arcobaleno risponde agli ascoltatori di Repubblica Tv
"Ridurre il numero dei parlamentari ed abolire una delle due camere"
Mussi: "Con il Pd c'è competizione
tremo all'idea di un accordo con Pdl"
di EDOARDO BUFFONI
ROMA - Un accordo Berlusconi-Veltroni? Tremo solo all'idea. Con il Pd in questa campagna elettorale c'è un "gentlement agreement", ma anche competizione. Il voto utile? Esiste solo il voto che ti rappresenta. Fabio Mussi, ministro per la Ricerca e l'Università, candidato per la Sinistra Arcobaleno, risponde alle domande dei lettori nel videoforum di Repubblica Tv. Attaccando sia il Pd che il Pdl, e qualsiasi ipotesi di accordo post-elettorale tra i due partiti maggiori: "Un accordo sulle riforme non può essere un gioco a due tra Pd e Pdl, un passo doppio. Se però parliamo di riduzione del numero dei parlamentari, per noi è un invito a nozze. Una sola Camera addirittura un doppio invito a nozze, mentre di fronte ad un iperpresidenzialismo la nostra risposta è no. Quanto alla legge elettorale, vorrei invitare i miei amici del Partito Democratico alla prudenza, perché non è prudente fare una legge elettorale che a tavolino cancelli qualsiasi altra variante".
Mussi su questo punto è drastico: "Non sarebbe possibile governare città e amministrazioni locali con i voti della sinistra, come Roma, e poi fare una legge elettorale che cancella tutto ciò che non è Pd e Pdl, perché non si può avere 7 botti piene e 7 moglie ubriache".
Molte le domande dei lettori sul voto utile: votare Pd o Sinistra Arcobaleno per il Senato, a seconda delle regioni, per contrastare Berlusconi. "L'elettore - risponde Mussi - non può essere accompagnato alla soglia del seggio da esperti. Le scelta delle persone sono più semplici e alla fine anche più giuste. Il voto utile è prima di tutto quello che ti rappresenta, che rappresenta i tuoi valori e le tue idee". La vostra campagna non è troppo sbilanciata contro il Pd, osservano alcuni lettori: "E' il Pd che ha radicalmente escluso la sinistra, definendola il male, e che ha fatto una campagna sistematica per dire: non votare a sinistra".
Ma con le vostre idee non vi condannate all'opposizione?
"Saremo all'opposizione solo se perderemo le elezioni. Ma voglio sottolineare che l'Italia rischia di essere l'unico grande paese europeo a rischiare di non avere più una forza politica che si dichiari di sinistra. Ed è per questo che ho scelto di non aderire al Pd. Invece dovrà esistere nel futuro una forza di sinistra in Italia, per influenzare e condizionare la politica del Partito Democratico".
Ma la sinistra ce la può fare?
"Io spero prima di tutto che perda Berlusconi, e lo dico per ragioni patriottiche. Berlusconi è il lato tragicomico della vicenda italiana. E' sempre più stonato. Con la sua visione scombinata e populistica dell'Italia, che ha già fatto tanti danni".
Ma la Sinistra Arcobaleno resterà unita anche dopo le elezioni?
"Abbiamo fatto una lista comune. Se fosse un semplice cartello elettorale sarebbe destinato al fallimento. Invece stiamo creando una forza unita. E lo sta dicendo con forza anche Bertinotti".
Non era meglio candidare premier un leader più giovane, ad esempio Nichi Vendola?
"Mi sembra che Bertinotti si stia spendendo con autorevolezza. Sta facendo bene".
Cosa critica del governo Prodi?
"Aver spinto troppo sul risanamento dei conti pubblici. Si poteva destinare qualcosa in più per salari, fisco, ricerca scientifica. Ma quando lo dicevamo noi, tutti ci criticavano. Ora molti se ne sono accorti. Ma solo ora".
Come ministro, cosa è contento di aver realizzato?
"Ho fermato la proliferazione delle sedi, le lauree facili, i concorsi finti. Ora il sistema può essere governato secondo standard europei. Purtroppo ho avuto solo 20 mesi di lavoro al ministero. Ma sono a un passo dall'approvazione l'agenzia nazionale di valutazione, i nuovi concorsi per associati e ordinari, e la riforma della governance delle università. Chiunque verrà dopo di me, dovrà riprendere da dove sono arrivato io".
lunedì 31 marzo 2008
mercoledì 26 marzo 2008
padre Alex scrive a Veltroni
26 Marzo 2008
Alex Zanotelli: il programma del Pd farebbe milioni di morti.
autore: redazione
“Caro Walter, non dimenticarti di quelle lacrime di Korogocho”. Ha uno stile dolce e quasi affettuoso, la lettera che padre Alex Zanotelli indirizza a Veltroni, ma contiene delle critiche pesantissime. Il padre comboniano rimprovera senza mezzi termini al segretario del Pd le sue lacrime versate di fronte alla povertà della baraccopoli di Nairobi.
Dice: “Tu sei venuto a trovarmi a Korogocho, e hai toccato con mano come vivono i baraccati d’Africa. Davanti a quell’inferno umano tu hai pianto. Mi hai promesso […] che avresti portato quell’immenso grido di sofferenza umana nell’arena politica. Ora che sei il segretario del Partito democratico, sembra che ti sia dimenticato di quel grido dei poveri”. E continua: “Non chiedo carità (non serve!), chiedo giustizia, quella distributiva che è il campo specifico della politica”. Una vera lezione di politica di sinistra per il “coccodrillo” Walter. E poi si arriva al punto: “Non parlo solo della fame del mondo […], ma soprattutto della sete del mondo. […] Perché nel tuo programma appoggi la privatizzazione dell’acqua? Lo sai che questo significa la morte di milioni di persone per sete? Con questa logica di privatizzazione, se oggi abbiamo cinquanta milioni di morti per fame, domani avremo cento milioni di morti per sete. Sono scelte politiche che si pagano con milioni di morti.”
Ora tocca a noi, la letterina a Veltroni:
Caro Walter, leggiti bene quanto scrive Zanotelli perché le sue parole non sono leggere. Esse hanno il peso della persona che le ha scritte, di un prete che ti spiega che la carità non serve (!) e che le scelte del tuo programma in tema di privatizzazione dell’acqua provocherebbero 100 milioni di morti se venissero effettuate. Quando si tratta di scegliere tra lavoratori e imprese, ti dichiari equidistante (cioè lontano da tutte e due!), ma quando si tratta di scegliere tra gli interessi delle multinazionali dell’acqua e i milioni di assetati, caro Walter “lacrime di coccodrillo” Veltroni, non hai dubbi: privatizziamo l’acqua!
Roberto Musacchio (SA), Capogruppo al Parlamento europeo, commenta: “Per il Pd si configura una vera e propria impossibilità di comprendere la categoria di “bene comune”, proprio perché nel suo programma è penetrata l’idea di mercato; e considerare l’acqua come merce, come fa il Pd, impedisce il soddisfacimento di un bisogno che, in quanto primario, andrebbe invece garantito. La sinistra invece ha un’esperienza di internità al movimento mondiale per la pubblicità dell’acqua, dai social forum alle lotte internazionali, che si riflette direttamente nelle scelte di programma de La Sinistra l’Arcobaleno”.
Anche su questo, occorre una scelta di parte. Ecco la nostra (tratto da programma de La Sinistra l’Arcobaleno):
L’ACQUA COME BENE COMUNE
L’acqua è un bene comune e un diritto fondamentale per la vita e la salute di tutti gli esseri viventi. La Sinistra l’Arcobaleno propone che sia davvero gestita come pubblica. Sono necessari importanti investimenti nei controlli degli usi, nell’ammodernamento delle reti, nel garantire l’accesso a tutti, in particolar modo nel Mezzogiorno e nelle aree a rischio di desertificazione. Proponiamo perciò la ripubblicizzazione dei servizi idrici ed investimenti adeguati per la messa in efficienza e la manutenzione della rete, in particolare nel Mezzogiorno e nelle aree a rischio desertificazione. Per questo La Sinistra l’Arcobaleno condivide la proposta di legge di iniziativa popolare depositata in Parlamento e presentata dai movimenti per l’acqua pubblica e la sosterrà nella prossima legislatura. Punto ineludibile sarà il conseguimento di obiettivi certi di risparmio idrico.
Alex Zanotelli: il programma del Pd farebbe milioni di morti.
autore: redazione
“Caro Walter, non dimenticarti di quelle lacrime di Korogocho”. Ha uno stile dolce e quasi affettuoso, la lettera che padre Alex Zanotelli indirizza a Veltroni, ma contiene delle critiche pesantissime. Il padre comboniano rimprovera senza mezzi termini al segretario del Pd le sue lacrime versate di fronte alla povertà della baraccopoli di Nairobi.
Dice: “Tu sei venuto a trovarmi a Korogocho, e hai toccato con mano come vivono i baraccati d’Africa. Davanti a quell’inferno umano tu hai pianto. Mi hai promesso […] che avresti portato quell’immenso grido di sofferenza umana nell’arena politica. Ora che sei il segretario del Partito democratico, sembra che ti sia dimenticato di quel grido dei poveri”. E continua: “Non chiedo carità (non serve!), chiedo giustizia, quella distributiva che è il campo specifico della politica”. Una vera lezione di politica di sinistra per il “coccodrillo” Walter. E poi si arriva al punto: “Non parlo solo della fame del mondo […], ma soprattutto della sete del mondo. […] Perché nel tuo programma appoggi la privatizzazione dell’acqua? Lo sai che questo significa la morte di milioni di persone per sete? Con questa logica di privatizzazione, se oggi abbiamo cinquanta milioni di morti per fame, domani avremo cento milioni di morti per sete. Sono scelte politiche che si pagano con milioni di morti.”
Ora tocca a noi, la letterina a Veltroni:
Caro Walter, leggiti bene quanto scrive Zanotelli perché le sue parole non sono leggere. Esse hanno il peso della persona che le ha scritte, di un prete che ti spiega che la carità non serve (!) e che le scelte del tuo programma in tema di privatizzazione dell’acqua provocherebbero 100 milioni di morti se venissero effettuate. Quando si tratta di scegliere tra lavoratori e imprese, ti dichiari equidistante (cioè lontano da tutte e due!), ma quando si tratta di scegliere tra gli interessi delle multinazionali dell’acqua e i milioni di assetati, caro Walter “lacrime di coccodrillo” Veltroni, non hai dubbi: privatizziamo l’acqua!
Roberto Musacchio (SA), Capogruppo al Parlamento europeo, commenta: “Per il Pd si configura una vera e propria impossibilità di comprendere la categoria di “bene comune”, proprio perché nel suo programma è penetrata l’idea di mercato; e considerare l’acqua come merce, come fa il Pd, impedisce il soddisfacimento di un bisogno che, in quanto primario, andrebbe invece garantito. La sinistra invece ha un’esperienza di internità al movimento mondiale per la pubblicità dell’acqua, dai social forum alle lotte internazionali, che si riflette direttamente nelle scelte di programma de La Sinistra l’Arcobaleno”.
Anche su questo, occorre una scelta di parte. Ecco la nostra (tratto da programma de La Sinistra l’Arcobaleno):
L’ACQUA COME BENE COMUNE
L’acqua è un bene comune e un diritto fondamentale per la vita e la salute di tutti gli esseri viventi. La Sinistra l’Arcobaleno propone che sia davvero gestita come pubblica. Sono necessari importanti investimenti nei controlli degli usi, nell’ammodernamento delle reti, nel garantire l’accesso a tutti, in particolar modo nel Mezzogiorno e nelle aree a rischio di desertificazione. Proponiamo perciò la ripubblicizzazione dei servizi idrici ed investimenti adeguati per la messa in efficienza e la manutenzione della rete, in particolare nel Mezzogiorno e nelle aree a rischio desertificazione. Per questo La Sinistra l’Arcobaleno condivide la proposta di legge di iniziativa popolare depositata in Parlamento e presentata dai movimenti per l’acqua pubblica e la sosterrà nella prossima legislatura. Punto ineludibile sarà il conseguimento di obiettivi certi di risparmio idrico.
lunedì 24 marzo 2008
sabato 22 marzo 2008
una campagna a energia solare
14 Marzo 2008
Accumuliamo consensi ed energia solare
autore: redazione
La Sinistra l’Arcobaleno fa bene all’ambiente. Veramente. Per questa campagna elettorale, infatti, il service su cui si sta appoggiando la macchina organizzativa di SA per eventi, concerti e presentazioni è totalmente eco-compatibile. L’alimentazione energetica e tutti i lavori di contorno agli eventi pubblici organizzati dalla nostra formazione politica, infatti, sono forniti da una società, Ecoluce (www.ecoluce.org) , che fa della limitazione a zero dell’impatto ambientale il proprio punto focale.
L’innovazione tecnologica che questo servizio comporta, nel panorama non solo politico, ma anche di diffusione culturale (esposizioni, concerti, eccetera), è enorme: non ci si limita, infatti, all’erogazione di energia “pulita” per le apparecchiature audio e video, ma la ricerca tecnologica è continua verso attrezzature sempre più efficiente e sempre meno dispendiose, all’insegna del perfetto sodalizio di risparmio energetico e avanzamento tecnologico.
Un primo, forte, esempio del connubio tra SA ed Ecoluce, portatrice del messaggio dell’importanza del risparmio energetico, è stata la giornata di presentazione del nostro Programma: al Teatro Piccolo Eliseo tutta l’energia necessario ai sistemi audio/video è stata fornita attraverso accumulatori di energia solare.
Le parole e le promesse assumono reale valore solo se diventano fatti: la Sinistra, l’Arcobaleno fa quello che dice, crede nelle proprie idee e le applica.
venerdì 21 marzo 2008
Piersilvio Airways
di Marco Travaglio, dall'Unità del 21 marzo
Quand’erano un filo più giovani, i due figli di primo letto Marina e Piersilvio servivano al Cainano per giurare il falso sulle loro povere teste. Ora che son cresciuti, vengono adibiti agli usi più disparati. C’è da sistemare una precaria? Che problema c’è, se la sposa Piersilvio (il poveretto non viene nemmeno consultato sui suoi gusti sessuali). C’è da salvare l’Alitalia? Ghe pensi mi, «ci sono i miei figli pronti a rilevarla, insieme a Toto e Banca Intesa». Purtroppo Toto ha già perso la sua chance.
Mentre Banca Intesa, non avendo legami di parentela con la famiglia Berlusconi (ma solo cospicui crediti con Forza Italia e con Toto), ha subito smentito. I due incolpevoli pargoli, invece, non osano nemmeno fiatare.
Del resto papà lo conoscono bene: lui le spara così, a raffica, come gli vengono. Infatti, col venir meno della banca, nonno Silvio fa presente che «la cordata è sempre pronta», ma c’è una piccola postilla: bisogna trovare qualcuno che metta i soldi, che sarà mai. Di qui l’idea geniale: il governo Prodi potrebbe lanciare un «prestito ponte», prelevandolo dalle tasche dei contribuenti, per finanziare l’operazione. In Europa si ride di gusto, visto che le regole comunitarie vietano gli aiuti di Stato. Ancora qualche ora e il Cainano dirà di essere stato frainteso dai soliti comunisti.
Peccato, però, che sia finita così. Intanto perché una compagnia aerea denominata «Piersilvio Airways» («Air Marina» avrebbe ingenerato equivoci col trasporto nautico) non avrebbe guastato affatto, in alta quota. Poi perché il conflitto d’interessi berlusconiano languiva da qualche anno sulle solite cosucce tipo tv, giornali, radio, portali internet, banche, assicurazioni, calcio, cinema, processi penali, insomma poca roba. Inglobare anche una compagnia di bandiera nel gruppo del futuro premier avrebbe conferito al conflitto d’interessi un frizzante tocco di novità, al punto che persino Uòlter, forse, avrebbe dovuto occuparsene. Ma l’operazione Piersilvio Airwaiys avrebbe giovato soprattutto per un terzo motivo: avrebbe inaugurato una nuova via tutto italiana al «fare impresa». Un tizio, uno a caso, mettiamo Berlusconi, diventa presidente del Consiglio nel 2001 e si incarica di mandare definitivamente a picco un’azienda pubblica già cagionevole di salute. Per essere sicuro che non ne resterà più traccia, la affida nelle mani sicure della Lega e di An, che ci giochicchiano per l’intera legislatura con i loro leggendari supermanager. Si comincia con l’ex deputato leghista Giuseppe Bonomi, promosso presidente di Alitalia e rimasto celebre per aver sponsorizzato i mondiali di equitazione indoor salto a ostacoli, ad Assago (Milano), dove lui stesso si esibì in sella al suo cavallo baio. Poi Bonomi viene spedito alla Sea (Linate e Malpensa) e ad Alitalia arriva un fedelissimo di Fini: Marco Zanichelli. Ma subito Tremonti litiga con Fini: «Giù le mani da Alitalia, non c’è più una lira». Zanichelli, preso fra le risse di potere del Cdl, se ne va dopo appena 70 giorni, rimpiazzato dall’ottimo Giancarlo Cimoli, che aveva già fatto così bene alle Ferrovie. Il tempo di scortare la compagnia verso il burrone, poi anche lui leva il disturbo, con una modica liquidazione di 5 milioni di euro.
A quel punto, affondata la flotta, il Cainano se ne va in ferie per un paio d’anni. E al suo posto arriva gente seria, come Prodi e Padoa Schioppa che tentarono di riparare ai guasti suoi. Quando ce la stanno per fare, trovando Airfrance interessata a rilevare un bidone che brucia 1 milione e ha perso 15 miliardi in 15 anni, riecco l’Attila di Arcore che, travestito da Buon Samaritano, tenta di sabotare la trattativa con l’aiuto consapevole di Bobo Formigoni, Bobo Maroni e Morticia Moratti e l’aiuto inconsapevole dei soliti sindacati miopi. Dice che compra tutto lui, anzi «i miei figli», più il celebre Toto, naturalmente coi soldi degli altri: o delle banche, o dello Stato. Perché lui, com’è noto, è un imprenditore che si è fatto da sé, e anche un vero liberale.
Una compagnia della buona morte talmente inguardabile che perfino Bonomi, da Malpensa, prende le distanze e, sotto sotto, si tocca. Basti pensare che come rivelava ieri sulla Stampa Minzolini sul caso Alitalia il consigliere più ascoltato di Berlusconi è il deputato forzista Giampiero Cantoni, già presidente craxiano della Bnl, più volte inquisito e arrestato, dunque titolare delle giuste credenziali per occuparsi della faccenda: per esempio, un patteggiamento di 11 mesi di reclusione per corruzione (con risarcimento di 800 milioni di lire) e un altro di 13 mesi per concorso in bancarotta fraudolenta del gruppo Mandelli. Un esperto. È la via berlusconiana al risanamento. Chi si chiama al capezzale di un’azienda dalla bancarotta? Un bancarottiere. Per dargli un’altra chance.
Quand’erano un filo più giovani, i due figli di primo letto Marina e Piersilvio servivano al Cainano per giurare il falso sulle loro povere teste. Ora che son cresciuti, vengono adibiti agli usi più disparati. C’è da sistemare una precaria? Che problema c’è, se la sposa Piersilvio (il poveretto non viene nemmeno consultato sui suoi gusti sessuali). C’è da salvare l’Alitalia? Ghe pensi mi, «ci sono i miei figli pronti a rilevarla, insieme a Toto e Banca Intesa». Purtroppo Toto ha già perso la sua chance.
Mentre Banca Intesa, non avendo legami di parentela con la famiglia Berlusconi (ma solo cospicui crediti con Forza Italia e con Toto), ha subito smentito. I due incolpevoli pargoli, invece, non osano nemmeno fiatare.
Del resto papà lo conoscono bene: lui le spara così, a raffica, come gli vengono. Infatti, col venir meno della banca, nonno Silvio fa presente che «la cordata è sempre pronta», ma c’è una piccola postilla: bisogna trovare qualcuno che metta i soldi, che sarà mai. Di qui l’idea geniale: il governo Prodi potrebbe lanciare un «prestito ponte», prelevandolo dalle tasche dei contribuenti, per finanziare l’operazione. In Europa si ride di gusto, visto che le regole comunitarie vietano gli aiuti di Stato. Ancora qualche ora e il Cainano dirà di essere stato frainteso dai soliti comunisti.
Peccato, però, che sia finita così. Intanto perché una compagnia aerea denominata «Piersilvio Airways» («Air Marina» avrebbe ingenerato equivoci col trasporto nautico) non avrebbe guastato affatto, in alta quota. Poi perché il conflitto d’interessi berlusconiano languiva da qualche anno sulle solite cosucce tipo tv, giornali, radio, portali internet, banche, assicurazioni, calcio, cinema, processi penali, insomma poca roba. Inglobare anche una compagnia di bandiera nel gruppo del futuro premier avrebbe conferito al conflitto d’interessi un frizzante tocco di novità, al punto che persino Uòlter, forse, avrebbe dovuto occuparsene. Ma l’operazione Piersilvio Airwaiys avrebbe giovato soprattutto per un terzo motivo: avrebbe inaugurato una nuova via tutto italiana al «fare impresa». Un tizio, uno a caso, mettiamo Berlusconi, diventa presidente del Consiglio nel 2001 e si incarica di mandare definitivamente a picco un’azienda pubblica già cagionevole di salute. Per essere sicuro che non ne resterà più traccia, la affida nelle mani sicure della Lega e di An, che ci giochicchiano per l’intera legislatura con i loro leggendari supermanager. Si comincia con l’ex deputato leghista Giuseppe Bonomi, promosso presidente di Alitalia e rimasto celebre per aver sponsorizzato i mondiali di equitazione indoor salto a ostacoli, ad Assago (Milano), dove lui stesso si esibì in sella al suo cavallo baio. Poi Bonomi viene spedito alla Sea (Linate e Malpensa) e ad Alitalia arriva un fedelissimo di Fini: Marco Zanichelli. Ma subito Tremonti litiga con Fini: «Giù le mani da Alitalia, non c’è più una lira». Zanichelli, preso fra le risse di potere del Cdl, se ne va dopo appena 70 giorni, rimpiazzato dall’ottimo Giancarlo Cimoli, che aveva già fatto così bene alle Ferrovie. Il tempo di scortare la compagnia verso il burrone, poi anche lui leva il disturbo, con una modica liquidazione di 5 milioni di euro.
A quel punto, affondata la flotta, il Cainano se ne va in ferie per un paio d’anni. E al suo posto arriva gente seria, come Prodi e Padoa Schioppa che tentarono di riparare ai guasti suoi. Quando ce la stanno per fare, trovando Airfrance interessata a rilevare un bidone che brucia 1 milione e ha perso 15 miliardi in 15 anni, riecco l’Attila di Arcore che, travestito da Buon Samaritano, tenta di sabotare la trattativa con l’aiuto consapevole di Bobo Formigoni, Bobo Maroni e Morticia Moratti e l’aiuto inconsapevole dei soliti sindacati miopi. Dice che compra tutto lui, anzi «i miei figli», più il celebre Toto, naturalmente coi soldi degli altri: o delle banche, o dello Stato. Perché lui, com’è noto, è un imprenditore che si è fatto da sé, e anche un vero liberale.
Una compagnia della buona morte talmente inguardabile che perfino Bonomi, da Malpensa, prende le distanze e, sotto sotto, si tocca. Basti pensare che come rivelava ieri sulla Stampa Minzolini sul caso Alitalia il consigliere più ascoltato di Berlusconi è il deputato forzista Giampiero Cantoni, già presidente craxiano della Bnl, più volte inquisito e arrestato, dunque titolare delle giuste credenziali per occuparsi della faccenda: per esempio, un patteggiamento di 11 mesi di reclusione per corruzione (con risarcimento di 800 milioni di lire) e un altro di 13 mesi per concorso in bancarotta fraudolenta del gruppo Mandelli. Un esperto. È la via berlusconiana al risanamento. Chi si chiama al capezzale di un’azienda dalla bancarotta? Un bancarottiere. Per dargli un’altra chance.
giovedì 20 marzo 2008
una commissione d'inchiesta sul G8 di Genova
G8: Veltroni non strumentalizzi, dica parole chiare sulla Commissione d’Inchiesta.
Lo chiede Michele De Palma, candidato de La Sinistra l’Arcobaleno per la Regione Sicilia
Walter Veltroni ha ragione. Nei giorni 19, 20 e 21 luglio del ‘01 la notte delle violenze di Genova è scesa su tutta la Repubblica italiana. Veltroni ha ragione a chiedere di verificare le “colpe politiche”, del resto era uno dei punti del programma dell’Unione l’istituzione di una commissione d’inchiesta, ma poi, la storia sappiamo tutti com’è andata: la destra contro, alcuni sindacati di polizia come il Sap che addirittura minacciavano e nella maggioranza parlamentari oggi del Partito Democratico e l’onorevole Di Pietro l’hanno sabotata. Per verificare le colpe bisogna cominciare a dire la verità e farsi largo tra depistaggi di polizia e il fumo dei lacrimogeni che ancora impedisce di vedere quello che ormai sembra chiaro a tutti. C’è stata una responsabilità delle destre che governavano in quel momento, ma abbiamo sempre detto che la regia di quella violenza indiscriminata cominciata nelle strade di Genova e proseguita nel chiuso delle caserme è da ricercare nella scelta del G8 di impartire una lezione al movimento no global. C’è stata una responsabilità dei Democratici di Sinistra e delle forze democratiche? Si. Le violenze contro i manifestanti il movimento le ha denunciate da subito, il 20 dopo l’omicidio di Carlo da Genova partì un sos a tutte le forze politiche, sindacali per garantire la libera espressione della contestazione. Non rispose nessuno. La verità è che fummo lasciati soli. La storia non si fa con i se e con i ma, ma proviamoci un attimo. Se i Democratici di Sinistra o il Sindaco di Roma insieme ad altre personalità delle istituzioni avessero deciso di partecipare alla manifestazione del 21, di difendere le teste, le braccia e la democrazia, ci sarebbero stati le stesso violenze e torture nella scuola Diaz o nella caserma di Bolzaneto? Penso di no. Caro Veltroni penso che oggi non ci sarebbero fascisti in camicia verde come Castelli a parlare di “episodi isolati” se ci fosse stata una risposta democratica adeguata. Quello che stupisce è che ancora oggi si possa dire: con la polizia ma anche con i manifestanti, contro la tortura ma anche solidarietà ai ragazzi in divisa. Il “si, ma anche” per Genova non vale caro Walter, c’è bisogno che tu dica parole chiare: t’impegni a dare vita alla commissione d’inchiesta? Se la risposta dovesse essere no, Veltroni ha perso una buona occasione per tacere.
martedì 18 marzo 2008
dal "Manifesto" del 17 marzo
La Chiesa al suo posto
Rossana Rossanda
Che campagna elettorale! Poche idee, bassezze, graffi, scuse, perfino Vespa si annoia. Nel Popolo della Liberta gli slogan di sempre sono pieni di disprezzo per l'avversario. Berlusconi aggiunge una prudente allusione ai tempi difficili che verranno - recessione, euro troppo alto, petrolio alle stelle - per cui (ma non lo dice) si stringerà la cinghia. Invece Veltroni gioca la carte delle buone maniere anche se ieri gli è sfuggito un «chi vince comanda», a prova che della democrazia hanno la stessa idea.
Lui però non mette in guardia dalle imminenti vacche magre: macché pericoli provenienti dall'esterno, sono state la sinistra e i centro-sinistra a sbagliare tutto, facendosi legare le mani dalla nefasta ideologia che contrapponeva padroni e operai, proprietari e spossessati, beni privati e beni pubblici. Usciamo da questa paralizzante menzogna! Lo pensa anche Galli della Loggia. Passate le redini in mani più giovani e refrattarie alle fantasie sociali l'Italia rifiorirà.
Bankitalia e l'Ocse informano che abbiamo in Italia i salari più bassi dell'Europa, neanche la Grecia, ma solo Bertinotti raccoglie. Gli altri tacciono perché la Banca Centrale Europea comanda: guai ad alzarli, i salari, sarebbe l'inflazione. I salariati non hanno da fare che una cura dimagrante in attesa di tempi migliori.
Eppure all'aeroporto mi hanno avvicinato due giovani, due facce pulite: Questo Veltroni, quale speranza per noi! E lei che ne pensa? Rispondo ridendo: Il peggio possibile. Sorpresa. Li guardo, due ragazzi cui il leader rinnovatore, le playstation e la tv assicurano che viviamo in un mondo senza conflitti, eccezion fatta per l'amore, la mafia e il terrorismo islamico. Che strada in salita li attende per rimediare alla devastazione di quel minimo di critica dell'economia e di spessore democratico cui eravamo arrivati. SEGUE A PAGINA 2
Non penso agli estremisti, ma a uno come Caffè, uno come Bobbio, miti persone serie, anch'esse consegnate da Silvio e Walter alle pattumiere della storia.
Non stupisce che nella generale piattezza tornino a brillare le religioni con i loro lampi lontani, ma la vicina tentazione di una nuova egemonia. Non tutte, intendiamoci, da noi si agita la chiesa cattolica apostolica romana, cujus regio ejus religio. Ratzinger parla dallo schermo ogni due giorni più la domenica, negli altri predicano i cardinali Bertone e Bagnasco. Degli altri culti approda in tv solo il Dalai Lama, ma perché perseguitato dalla Cina. Non ci arrivano le sue parole. Non la sapienza dell'ebraismo, non quella dei protestanti: la comunità ebraica italiana si fa sentire solo in politica, i secondi sono avvezzi a essere ignorati.
Silvio e Walter e Casini omaggiano più di ogni altro il Sacro soglio, ma con il ritorno del sacro hanno frascheggiato tutti. Politici e filosofi, maschi e femmine pensanti. Adesso che se ne vedono le conseguenze, più interventismo che spiritualità, proporrei alla sinistra di mettere fra le tre o quattro priorità un bel ritorno al laicismo.
Eh sì. Si finisca di traccheggiare con «laicità sì, laicismo no». E' una distinzione inventata da poco, che in parole povere vuol dire: la Chiesa ingoi la separazione dallo stato nei termini costituzionali, purché applicata «con juicio» e con i consueti strappi sottobanco, tipo esenzione dalle tasse e accomodamenti con la scuola privata . Ma ad essa lo stato deve riconoscere la competenza sulla sfera morale e del costume. Il bieco laicismo la nega, una laicità come si deve è tenuta invece a riconoscere l'autorità del papa su questo terreno.
Io penso che questa autorità non vada riconosciuta affatto. Prima di tutto, come si può parlare di etica, di scelte morali, là dove non esiste libertà di coscienza? Mi ha sorpreso che uno dei nostri amici più colti, Massimo Cacciari, abbia definito Karol Woytila come la più alta autorità «morale» dei suoi tempi. Si può parlare di fede, ed è vero che l'esperienza di fede può raggiungere grandi altezze, affascinanti, tragiche. Si può ammettere che sono spesso legati a una «rivelazione» gli squarci sapienziali che intemporalmente ci parlano. Ma fede e sapienzialità implicano una obbedienza che mette duri limiti al sapere critico e ai suoi strumenti, senza i quali non si darebbero né la modernità né un pensiero scientifico e tanto meno politico. Tanto più che a imporre limiti e veti sono le chiese, strutture del tutto terrestri e facilmente prevaricanti. Non hanno persuaso per secoli che il potere terreno fosse la mera proiezione della gerarchia teologica? Non a caso la rivoluzione francese è dovuta passare attraverso l'uccisione del re, autorità che si forgiava su quella celeste e ne era consacrata.
Dalla secolarizzazione la chiesa cattolica apostolica romana non si è mai rimessa. Spento Giovanni XXIII è stato tutto un lento rimuovere quel che ad essa concedeva il Vaticano II. Con Ratzinger la rimozione è diventata precipitosa. Specie in Italia non deflette dal riguadagnare terreno. E' ridicola l'argomentazione che si fa perché il Vaticano ha la sua sede nel nostro paese. In realtà qui ha sede la classe politica borghese più cedevole d'Europa. Il Vaticano neppure tenta in Francia una incursione sulle leggi del 1905 (che sarebbero di utile lettura ai nostri politici) e Zapatero ha messo un alt secco al tentativo di intervenire sulle elezioni in Spagna. Da noi i governi ritirano le leggi appena i vescovi vi mettono il becco.
La vicenda dei rapporti italiani fra stato e chiesa è fin paradossale. Il fascismo ha fatto il Concordato nel modo più cinico: nelle scuole elementari si cominciava con una preghiera ma poi si propinava in tutte le salse una paganissima romanità. Dopo il 1945, il Concordato sarebbe stato abolito se il miscrendente Togliatti non avesse scelto di lasciarlo in piedi per timore di una guerra di religione che isolasse i comunisti, e fu un errore, la guerra ci fu lo stesso, i comunisti furono scomunicati. Sarebbe stato il cattolico De Gasperi ad arginare le velleità integraliste di Gedda, cosa che Pio XII non gli perdonò. Sempre paradossalmente fu Craxi, primo ministro socialista, a confermare e rimaneggiare il Concordato, mentre il credente e praticante Scalfaro fu l'ultimo presidente della repubblica a non inchinarsi al santo soglio. Poi c'è stato il diluvio. Alla morte di Karol Woytila, un capo di stato dietro l'altro finirono in ginocchio, mentre i leader dei partiti di sinistra scoprivano di essere andati a scuola dai salesiani. L'Opus Dei usciva con fragore alla luce dalla clandestinità e la signora Binetti transitava direttamente al Partito democratico.
Ecco dunque una bandiera da raccogliere da parte di una sinistra che voglia restare una cosa seria. Raccogliere bandiere lasciate cadere da qualcun altro ha un suono un po' sinistro, ma afferrare quelle sventolate della chiesa cinguettando con i vescovi è una patente regressione. Fino al ridicolo. Come definire altrimenti la decisione del comune di Roma di non celebrare unioni se non eterosessuali perché il Sacro Soglio è collocato sul suo territorio? Come lasciare che i vescovi mettano il veto a una legge del parlamento sottoposta a referendum senza invitare il Vaticano a restare al suo posto? Come assistere senza aprir bocca ai ripetuti tentativi di questo o quel primate di resuscitare il Non Expedit? Se è un affare interno della Chiesa affossare passo a passo il Vaticano II, umiliando una grande speranza dei credenti, sarà bene un affare interno dello stato legiferare senza interferenze sulla famiglia, sulla sessualità, sulla riproduzione, sul diritto di morire con dignità. Da questi terreni che ineriscono alla più intima libertà anche lo stato dovrebbe ritrarre il piede, rispettando le scelte della persona, e prima di tutto quella delle donne, da sempre ossessione e bersaglio d'una chiesa tutta maschile. Una grande mutazione sta venendo da esse e ne esce mutata anche la concezione della vita e della morte - uno stato moderno, attento, prudente segue questa evoluzione non lascia alla Chiesa di emettere una fatwa alla settimana. Certo, bisogna che abbia un'idea di che cosa sia un'etica pubblica, quella che matura discutendone in libertà e responsabilità, alle soglie del terzo millennio. Ma di questo i leader del «paese normale» non hanno cura.
Loro hanno i «valori». Meno stato più mercato per i beni, meno repubblica più Vaticano. I «valori» di Berlusconi, quelli di Veltroni, quelli di Casini, quelli di Emma Mercegaglia, quelli del cardinal Bagnasco. Se ne fa un gran parlare. Un «valore» accompagna ogni vassallata, ogni porcheria. Se mi si permette (e anche se non mi si permette), molti di noi ne hanno abbastanza. Inciampiamo a ogni passo in valori di latta, mentre si torna a guardare con più disprezzo che un secolo fa alla vita e alla libertà di chi lavora nel frenetico accendersi e spegnersi di migliaia di imprese senza regole. Assimilati ormai ai poveri, cui si deve al più un briciolo di compassione.
Se non è declino morale questo, travestito da affidamento ai principi della Borsa, della Confindustria e di oltretevere, la ragione non ha più corso.
Rossana Rossanda
Che campagna elettorale! Poche idee, bassezze, graffi, scuse, perfino Vespa si annoia. Nel Popolo della Liberta gli slogan di sempre sono pieni di disprezzo per l'avversario. Berlusconi aggiunge una prudente allusione ai tempi difficili che verranno - recessione, euro troppo alto, petrolio alle stelle - per cui (ma non lo dice) si stringerà la cinghia. Invece Veltroni gioca la carte delle buone maniere anche se ieri gli è sfuggito un «chi vince comanda», a prova che della democrazia hanno la stessa idea.
Lui però non mette in guardia dalle imminenti vacche magre: macché pericoli provenienti dall'esterno, sono state la sinistra e i centro-sinistra a sbagliare tutto, facendosi legare le mani dalla nefasta ideologia che contrapponeva padroni e operai, proprietari e spossessati, beni privati e beni pubblici. Usciamo da questa paralizzante menzogna! Lo pensa anche Galli della Loggia. Passate le redini in mani più giovani e refrattarie alle fantasie sociali l'Italia rifiorirà.
Bankitalia e l'Ocse informano che abbiamo in Italia i salari più bassi dell'Europa, neanche la Grecia, ma solo Bertinotti raccoglie. Gli altri tacciono perché la Banca Centrale Europea comanda: guai ad alzarli, i salari, sarebbe l'inflazione. I salariati non hanno da fare che una cura dimagrante in attesa di tempi migliori.
Eppure all'aeroporto mi hanno avvicinato due giovani, due facce pulite: Questo Veltroni, quale speranza per noi! E lei che ne pensa? Rispondo ridendo: Il peggio possibile. Sorpresa. Li guardo, due ragazzi cui il leader rinnovatore, le playstation e la tv assicurano che viviamo in un mondo senza conflitti, eccezion fatta per l'amore, la mafia e il terrorismo islamico. Che strada in salita li attende per rimediare alla devastazione di quel minimo di critica dell'economia e di spessore democratico cui eravamo arrivati. SEGUE A PAGINA 2
Non penso agli estremisti, ma a uno come Caffè, uno come Bobbio, miti persone serie, anch'esse consegnate da Silvio e Walter alle pattumiere della storia.
Non stupisce che nella generale piattezza tornino a brillare le religioni con i loro lampi lontani, ma la vicina tentazione di una nuova egemonia. Non tutte, intendiamoci, da noi si agita la chiesa cattolica apostolica romana, cujus regio ejus religio. Ratzinger parla dallo schermo ogni due giorni più la domenica, negli altri predicano i cardinali Bertone e Bagnasco. Degli altri culti approda in tv solo il Dalai Lama, ma perché perseguitato dalla Cina. Non ci arrivano le sue parole. Non la sapienza dell'ebraismo, non quella dei protestanti: la comunità ebraica italiana si fa sentire solo in politica, i secondi sono avvezzi a essere ignorati.
Silvio e Walter e Casini omaggiano più di ogni altro il Sacro soglio, ma con il ritorno del sacro hanno frascheggiato tutti. Politici e filosofi, maschi e femmine pensanti. Adesso che se ne vedono le conseguenze, più interventismo che spiritualità, proporrei alla sinistra di mettere fra le tre o quattro priorità un bel ritorno al laicismo.
Eh sì. Si finisca di traccheggiare con «laicità sì, laicismo no». E' una distinzione inventata da poco, che in parole povere vuol dire: la Chiesa ingoi la separazione dallo stato nei termini costituzionali, purché applicata «con juicio» e con i consueti strappi sottobanco, tipo esenzione dalle tasse e accomodamenti con la scuola privata . Ma ad essa lo stato deve riconoscere la competenza sulla sfera morale e del costume. Il bieco laicismo la nega, una laicità come si deve è tenuta invece a riconoscere l'autorità del papa su questo terreno.
Io penso che questa autorità non vada riconosciuta affatto. Prima di tutto, come si può parlare di etica, di scelte morali, là dove non esiste libertà di coscienza? Mi ha sorpreso che uno dei nostri amici più colti, Massimo Cacciari, abbia definito Karol Woytila come la più alta autorità «morale» dei suoi tempi. Si può parlare di fede, ed è vero che l'esperienza di fede può raggiungere grandi altezze, affascinanti, tragiche. Si può ammettere che sono spesso legati a una «rivelazione» gli squarci sapienziali che intemporalmente ci parlano. Ma fede e sapienzialità implicano una obbedienza che mette duri limiti al sapere critico e ai suoi strumenti, senza i quali non si darebbero né la modernità né un pensiero scientifico e tanto meno politico. Tanto più che a imporre limiti e veti sono le chiese, strutture del tutto terrestri e facilmente prevaricanti. Non hanno persuaso per secoli che il potere terreno fosse la mera proiezione della gerarchia teologica? Non a caso la rivoluzione francese è dovuta passare attraverso l'uccisione del re, autorità che si forgiava su quella celeste e ne era consacrata.
Dalla secolarizzazione la chiesa cattolica apostolica romana non si è mai rimessa. Spento Giovanni XXIII è stato tutto un lento rimuovere quel che ad essa concedeva il Vaticano II. Con Ratzinger la rimozione è diventata precipitosa. Specie in Italia non deflette dal riguadagnare terreno. E' ridicola l'argomentazione che si fa perché il Vaticano ha la sua sede nel nostro paese. In realtà qui ha sede la classe politica borghese più cedevole d'Europa. Il Vaticano neppure tenta in Francia una incursione sulle leggi del 1905 (che sarebbero di utile lettura ai nostri politici) e Zapatero ha messo un alt secco al tentativo di intervenire sulle elezioni in Spagna. Da noi i governi ritirano le leggi appena i vescovi vi mettono il becco.
La vicenda dei rapporti italiani fra stato e chiesa è fin paradossale. Il fascismo ha fatto il Concordato nel modo più cinico: nelle scuole elementari si cominciava con una preghiera ma poi si propinava in tutte le salse una paganissima romanità. Dopo il 1945, il Concordato sarebbe stato abolito se il miscrendente Togliatti non avesse scelto di lasciarlo in piedi per timore di una guerra di religione che isolasse i comunisti, e fu un errore, la guerra ci fu lo stesso, i comunisti furono scomunicati. Sarebbe stato il cattolico De Gasperi ad arginare le velleità integraliste di Gedda, cosa che Pio XII non gli perdonò. Sempre paradossalmente fu Craxi, primo ministro socialista, a confermare e rimaneggiare il Concordato, mentre il credente e praticante Scalfaro fu l'ultimo presidente della repubblica a non inchinarsi al santo soglio. Poi c'è stato il diluvio. Alla morte di Karol Woytila, un capo di stato dietro l'altro finirono in ginocchio, mentre i leader dei partiti di sinistra scoprivano di essere andati a scuola dai salesiani. L'Opus Dei usciva con fragore alla luce dalla clandestinità e la signora Binetti transitava direttamente al Partito democratico.
Ecco dunque una bandiera da raccogliere da parte di una sinistra che voglia restare una cosa seria. Raccogliere bandiere lasciate cadere da qualcun altro ha un suono un po' sinistro, ma afferrare quelle sventolate della chiesa cinguettando con i vescovi è una patente regressione. Fino al ridicolo. Come definire altrimenti la decisione del comune di Roma di non celebrare unioni se non eterosessuali perché il Sacro Soglio è collocato sul suo territorio? Come lasciare che i vescovi mettano il veto a una legge del parlamento sottoposta a referendum senza invitare il Vaticano a restare al suo posto? Come assistere senza aprir bocca ai ripetuti tentativi di questo o quel primate di resuscitare il Non Expedit? Se è un affare interno della Chiesa affossare passo a passo il Vaticano II, umiliando una grande speranza dei credenti, sarà bene un affare interno dello stato legiferare senza interferenze sulla famiglia, sulla sessualità, sulla riproduzione, sul diritto di morire con dignità. Da questi terreni che ineriscono alla più intima libertà anche lo stato dovrebbe ritrarre il piede, rispettando le scelte della persona, e prima di tutto quella delle donne, da sempre ossessione e bersaglio d'una chiesa tutta maschile. Una grande mutazione sta venendo da esse e ne esce mutata anche la concezione della vita e della morte - uno stato moderno, attento, prudente segue questa evoluzione non lascia alla Chiesa di emettere una fatwa alla settimana. Certo, bisogna che abbia un'idea di che cosa sia un'etica pubblica, quella che matura discutendone in libertà e responsabilità, alle soglie del terzo millennio. Ma di questo i leader del «paese normale» non hanno cura.
Loro hanno i «valori». Meno stato più mercato per i beni, meno repubblica più Vaticano. I «valori» di Berlusconi, quelli di Veltroni, quelli di Casini, quelli di Emma Mercegaglia, quelli del cardinal Bagnasco. Se ne fa un gran parlare. Un «valore» accompagna ogni vassallata, ogni porcheria. Se mi si permette (e anche se non mi si permette), molti di noi ne hanno abbastanza. Inciampiamo a ogni passo in valori di latta, mentre si torna a guardare con più disprezzo che un secolo fa alla vita e alla libertà di chi lavora nel frenetico accendersi e spegnersi di migliaia di imprese senza regole. Assimilati ormai ai poveri, cui si deve al più un briciolo di compassione.
Se non è declino morale questo, travestito da affidamento ai principi della Borsa, della Confindustria e di oltretevere, la ragione non ha più corso.
lunedì 17 marzo 2008
SONDAGGIO: SINISTRA ARCOBALENO ALL' 8,5% CON 21-26 SENATORI
17 mar. - Il sito Affari Italiani pubblica quest'oggi un sondaggio relativo alla Sinistra Arcobaleno in cui il partito guidato da Fausto Bertinotti, stando ai dati riservati in suo possesso- la Cosa Rossa si attesterebbe nell'ultima rilevazione del 10 marzo all'8,5% rispetto all'8 di sette giorni prima.
Ma soprattutto, in base ai dati territoriali, si nota come l'Arcobaleno possa, a meno di un mese dall'apertura delle urne, superare lo sbarramento a Palazzo Madama in molte regioni.
Creando così non poche difficoltà praticamente a tutte le altre formazioni politiche nella Camera Alta. Stando ai numeri riservati che circolano nel quartier generale di Rifondazione Comunista, la sinistra radicale al momento può ottenere da 21 a 26 senatori.
La forchetta è così ampia perché molto dipende dal risultato dell'Udc nelle singole regioni.
Ma veniamo ai dati.
In Piemonte Bertinotti è accreditato del 9%, due seggi sicuri a Palazzo Madama e il terzo scatterebbe se Casini non superasse lo sbarramento dell'8%.
In Lombardia la Sinistra Arcobaleno vale l'8%, che corrisponde a 5 o 6 senatori (la variabile è sempre legata al risultato dell'Unione di Centro).
In Liguria i sondaggi danno il 9,5%, ovvero un seggio.
Dieci per cento tondo in Emilia Romagna, pari a tre senatori.
Ottimo 12,5% in Toscana (il dato più alto) che corrisponde a tre eletti a Palazzo Madama
Un seggio dovrebbe arrivare anche dall'Umbria e uno dalle Marche, dove la Sinistra Arcobaleno vale rispettivamente l'11,5% e il 10.
Buona anche la percentuale nel Lazio (9,5%), pari a 2 o 3 senatori.
In Puglia la Cosa Rossa si attesta all'8,5%, in rialzo di quasi due punti in una settimana, pari a uno o due seggi a Palazzo Madama (la differenza è sempre legata alla performance di Casini).
Un senatore anche in Basilicata, dove la percentuale è l'8,5%.
Mentre in Sardegna, con lo stesso risultato che emerge dai sondaggi (8,5), si oscilla tra uno e due senatori.
Ci sono poi le regioni dove l'Arcobaleno è sotto lo sbarramento.
Ma ad esempio in Campania e in Calabria il 7,5% lascia aperta qualche speranza a Bertinotti. Molto difficile invece la sfida in Veneto, Friuli Venezia Giulia e Abruzzo (7%).
Praticamente impossibile in Sicilia (6%).
Il risultato a livello di senatori (tra 21 e 26) è comunque del tutto lusinghiero e nettamente più alto rispetto alle stime di 15 emerse negli ultimi giorni.
Ma la complessità della legge elettorale per Palazzo Madama trasforma la Cosa Rossa in una sorta di incubo un po' per tutti.
La Sinistra Arcobaleno si dividerà ovviamente il premio di minoranza (45%) nelle regioni dove supererà la soglia dell'8. E questo comporta una diminuzione dei seggi per il Popolo della Libertà laddove appare scontata la vittoria di Veltroni.
Ovvero in Emilia Romagna, Toscana, Umbria e Marche.
A subire invece l'effetto Bertinotti nel Nord (Veneto escluso) sarà il Partito Democratico.
Restano poi le regioni in bilico, dal Lazio alla Puglia, dove chi perde tra i due principali poli dovrà spartirsi i seggi di minoranza con la Sinistra Arcobaleno, riducendo così il numero di eletti.
Si tratta perciò di una variabile complessa e determinante al tempo stesso, che potrebbe incidere sui numeri a Palazzo Madama, favorendo o allontanando il rischio pareggio.
C'è poi un'altra ripercussione, che non riguarda né Berlusconi né Veltroni.
Il superamento della soglia dell'8% in molte zone da parte della Sinistra Arcobaleno riduce drasticamente il numero di senatori dell'Udc, in particolare al Sud.
Di fatto, Casini è quello che più di tutti verrà penalizzato se i sondaggi interni a Rifondazione risulteranno veri.
Sondaggi che a livello generale vedono lo schieramento Pdl-Lega al 45%, rispetto al precedente 44,5 (Popolo della Libertà 39,5 e Carroccio 5,5). La coalizione Pd-Idv è invece al 36,5%, in leggero calo dal 36,8 (Partito Democratico 33 e Italia dei Valori 3,5). L'Udc vale il 6,5% (era al 7), la Destra è stabile al 2% e gli altri raccolgono il 2,5. (Affari Italiani)
Ma soprattutto, in base ai dati territoriali, si nota come l'Arcobaleno possa, a meno di un mese dall'apertura delle urne, superare lo sbarramento a Palazzo Madama in molte regioni.
Creando così non poche difficoltà praticamente a tutte le altre formazioni politiche nella Camera Alta. Stando ai numeri riservati che circolano nel quartier generale di Rifondazione Comunista, la sinistra radicale al momento può ottenere da 21 a 26 senatori.
La forchetta è così ampia perché molto dipende dal risultato dell'Udc nelle singole regioni.
Ma veniamo ai dati.
In Piemonte Bertinotti è accreditato del 9%, due seggi sicuri a Palazzo Madama e il terzo scatterebbe se Casini non superasse lo sbarramento dell'8%.
In Lombardia la Sinistra Arcobaleno vale l'8%, che corrisponde a 5 o 6 senatori (la variabile è sempre legata al risultato dell'Unione di Centro).
In Liguria i sondaggi danno il 9,5%, ovvero un seggio.
Dieci per cento tondo in Emilia Romagna, pari a tre senatori.
Ottimo 12,5% in Toscana (il dato più alto) che corrisponde a tre eletti a Palazzo Madama
Un seggio dovrebbe arrivare anche dall'Umbria e uno dalle Marche, dove la Sinistra Arcobaleno vale rispettivamente l'11,5% e il 10.
Buona anche la percentuale nel Lazio (9,5%), pari a 2 o 3 senatori.
In Puglia la Cosa Rossa si attesta all'8,5%, in rialzo di quasi due punti in una settimana, pari a uno o due seggi a Palazzo Madama (la differenza è sempre legata alla performance di Casini).
Un senatore anche in Basilicata, dove la percentuale è l'8,5%.
Mentre in Sardegna, con lo stesso risultato che emerge dai sondaggi (8,5), si oscilla tra uno e due senatori.
Ci sono poi le regioni dove l'Arcobaleno è sotto lo sbarramento.
Ma ad esempio in Campania e in Calabria il 7,5% lascia aperta qualche speranza a Bertinotti. Molto difficile invece la sfida in Veneto, Friuli Venezia Giulia e Abruzzo (7%).
Praticamente impossibile in Sicilia (6%).
Il risultato a livello di senatori (tra 21 e 26) è comunque del tutto lusinghiero e nettamente più alto rispetto alle stime di 15 emerse negli ultimi giorni.
Ma la complessità della legge elettorale per Palazzo Madama trasforma la Cosa Rossa in una sorta di incubo un po' per tutti.
La Sinistra Arcobaleno si dividerà ovviamente il premio di minoranza (45%) nelle regioni dove supererà la soglia dell'8. E questo comporta una diminuzione dei seggi per il Popolo della Libertà laddove appare scontata la vittoria di Veltroni.
Ovvero in Emilia Romagna, Toscana, Umbria e Marche.
A subire invece l'effetto Bertinotti nel Nord (Veneto escluso) sarà il Partito Democratico.
Restano poi le regioni in bilico, dal Lazio alla Puglia, dove chi perde tra i due principali poli dovrà spartirsi i seggi di minoranza con la Sinistra Arcobaleno, riducendo così il numero di eletti.
Si tratta perciò di una variabile complessa e determinante al tempo stesso, che potrebbe incidere sui numeri a Palazzo Madama, favorendo o allontanando il rischio pareggio.
C'è poi un'altra ripercussione, che non riguarda né Berlusconi né Veltroni.
Il superamento della soglia dell'8% in molte zone da parte della Sinistra Arcobaleno riduce drasticamente il numero di senatori dell'Udc, in particolare al Sud.
Di fatto, Casini è quello che più di tutti verrà penalizzato se i sondaggi interni a Rifondazione risulteranno veri.
Sondaggi che a livello generale vedono lo schieramento Pdl-Lega al 45%, rispetto al precedente 44,5 (Popolo della Libertà 39,5 e Carroccio 5,5). La coalizione Pd-Idv è invece al 36,5%, in leggero calo dal 36,8 (Partito Democratico 33 e Italia dei Valori 3,5). L'Udc vale il 6,5% (era al 7), la Destra è stabile al 2% e gli altri raccolgono il 2,5. (Affari Italiani)
domenica 16 marzo 2008
"al primo punto la legalità"
da aprileonline.info
La criminalità organizzata è un fenomeno che riguarda l'intero Paese. Eppure, di mafia in campagna elettorale si parla pochissimo. Come mai? Lo abbiamo chiesto ad Arturo Scotto, candidato di Sinistra l'Arcobaleno come capolista alla Camera, circoscrizione Campania 1
Cosa Nostra, Camorra, ‘ndrangheta. Sono alcuni dei tanti volti della criminalità organizzata italiana. Un fenomeno che non è confinato solo a livello regionale, ma riguarda l'intero Paese. Eppure, di mafia in campagna elettorale si parla pochissimo, e le voci che si levano a riguardo - come quella dell'autore di Gomorra Roberto Saviano, intervistato giovedì dal Corriere della Sera - finiscono per restare isolate. Come mai? Lo abbiamo chiesto ad Arturo Scotto, candidato della Sinistra l'Arcobaleno come capolista per la Camera nella circoscrizione Campania 1
Saviano, nell'intervista al Corriere, denuncia l'assenza del tema della lotta alla mafia in questa campagna elettorale. E' effettivamente così?
La nostra apertura di campagna elettorale è avvenuta, il primo Marzo, in un terreno confiscato alla camorra: il castello di Raffaele Cutolo a Ottaviano [in provincia di Napoli, ndr.]. Questo proprio per testimoniare il fatto che, in politica, esiste ancora qualcuno interessato a occuparsi di questi temi.
Una scenografia eccellente per dare il via alla campagna elettorale. Ma in seguito?
La criminalità organizzata si combatte attraverso una forte azione repressiva da parte dello Stato e di intelligence per colpire i grandi patrimoni riciclati. Attraverso una viva attenzione nei confronti del territorio e delle scelte produttive e di sviluppo che lo interessano: scelte molto spesso determinate dalla mafia stessa, presente magari con una faccia pulita e un colletto bianco. Ma si combatte anche e soprattutto nella società, con la scolarizzazione delle periferie, dove in molti casi la mafia è cultura, modello di vita e di consumo, fonte di reddito. Su questo terreno "l'antimafia sociale" è fondamentale, perché diventa un argine di costume, di esempio, di modo di concepire le relazioni sociali. Ed è su questo aspetto in particolare che ho l'impressione si sia registrato un calo di attenzione.
Anche a sinistra, dunque.
Tutto si può dire, nei confronti della sinistra, tranne il fatto che abbia messo la testa sotto la sabbia di fronte al fenomeno mafioso. Aggiungo anche che ultimamente si è avviata una vera riflessione critica su quello che è stato il centrosinistra nel Mezzogiorno, su quello che ha rappresentato nel territorio, e su quanto esso sia stato permeabile alle infiltrazioni mafiose e camorristiche. E' importante ora che questa riflessione continui, e sia messa al centro della campagna politica.
Un po' di autocritica non fa mai male.
E' ciò che la politica dovrebbe sempre fare: imparare dai propri errori per non ripeterli in futuro. Se è necessario, chiedere scusa, in altri casi, però, e nel nostro caso penso siano la maggioranza, camminare a testa alta: perché noi affari con i mafiosi non li abbiamo mai fatti.
Il centrosinistra ha la tendenza a dare per scontato che la mafia stia esclusivamente dall'altra parte, ritenendosi in una certa misura immune da infiltrazioni. E' effettivamente così?
Sì, ma è un errore. Guardiamo al numero dei consigli comunali sciolti per infiltrazioni camorristiche in Campania: buona parte erano di centrosinistra.
Quanto sono "trasversali", politicamente parlando, i valori della lotta alla mafia?
Non credo che la destra abbia mai fatto propri i valori dell'"antimafia sociale". Non perché questa sia caratterizzata da un colore politico, ma perché dietro la "cultura" della lotta alla mafia si cela un'idea ben precisa di società: inclusiva, che mette al centro il tema del reddito, della scolarizzazione, e non della centralità dell'impresa. Categorie politiche e sociali, queste, che alla destra mancano.
Si parla di camorra in Campania, di mafia in Sicilia, di ‘ndrangheta in Calabria. Non sarebbe il caso di considerare la malavita organizzata per quello che realmente è: un fenomeno che investe tutta l'Italia, e non più confinato solo a livello regionale? Perché si parla di imprese al Nord, e di lotta alla mafia al Sud?
Ho ascoltato il discorso di Walter Veltroni: con gli imprenditori del Nord non spende una parola sulla lotta all'evasione fiscale. Mentre dice che è finita la stagione del centrosinistra dal volto punitivo, che "noi vi faremo pagare meno tasse" e "vi faremo aprire un'azienda al giorno, purché portiate i certificati". Ma non specifica quali certificati: tra questi ci dovrebbe essere il certificato antimafia. Però Veltroni sembra esserselo dimenticato. Forse ritiene che la mafia finisca con il Garigliano, o forse sottovaluta le capacità mimetiche e camaleontiche della criminalità organizzata. Mafia, camorra e ‘ndrangheta sono forze intelligenti, in grado di dimostrarsi estremamente elastiche, e pronte nel cogliere le trasformazioni dell'economia e della società.
Gomorra ha fatto sì che la letteratura divenisse un problema per la mafia. Parlarne è il modo per fermarli, si è detto. Perché la politica non fa lo stesso?
Purtroppo la lotta alla criminalità organizzata non è ancora entrata a pieno titolo tra i temi da campagna elettorale. Lo deve diventare, e in questo noi stiamo cercando di fare la nostra parte. Claudio Fava, Francesco Forgione, nostri candidati rispettivamente in Sicilia e Calabria, sono forse la dimostrazione maggiore del nostro impegno. Episodi come quello che è accaduto in Sicilia con la candidatura di Lumia, per fortuna risoltasi con esito positivo, sono il segno della scarsa sensibilità di buona parte della politica di fronte a un fenomeno che ci riguarda da vicino, e ci riguarda tutti.
La criminalità organizzata è un fenomeno che riguarda l'intero Paese. Eppure, di mafia in campagna elettorale si parla pochissimo. Come mai? Lo abbiamo chiesto ad Arturo Scotto, candidato di Sinistra l'Arcobaleno come capolista alla Camera, circoscrizione Campania 1
Cosa Nostra, Camorra, ‘ndrangheta. Sono alcuni dei tanti volti della criminalità organizzata italiana. Un fenomeno che non è confinato solo a livello regionale, ma riguarda l'intero Paese. Eppure, di mafia in campagna elettorale si parla pochissimo, e le voci che si levano a riguardo - come quella dell'autore di Gomorra Roberto Saviano, intervistato giovedì dal Corriere della Sera - finiscono per restare isolate. Come mai? Lo abbiamo chiesto ad Arturo Scotto, candidato della Sinistra l'Arcobaleno come capolista per la Camera nella circoscrizione Campania 1
Saviano, nell'intervista al Corriere, denuncia l'assenza del tema della lotta alla mafia in questa campagna elettorale. E' effettivamente così?
La nostra apertura di campagna elettorale è avvenuta, il primo Marzo, in un terreno confiscato alla camorra: il castello di Raffaele Cutolo a Ottaviano [in provincia di Napoli, ndr.]. Questo proprio per testimoniare il fatto che, in politica, esiste ancora qualcuno interessato a occuparsi di questi temi.
Una scenografia eccellente per dare il via alla campagna elettorale. Ma in seguito?
La criminalità organizzata si combatte attraverso una forte azione repressiva da parte dello Stato e di intelligence per colpire i grandi patrimoni riciclati. Attraverso una viva attenzione nei confronti del territorio e delle scelte produttive e di sviluppo che lo interessano: scelte molto spesso determinate dalla mafia stessa, presente magari con una faccia pulita e un colletto bianco. Ma si combatte anche e soprattutto nella società, con la scolarizzazione delle periferie, dove in molti casi la mafia è cultura, modello di vita e di consumo, fonte di reddito. Su questo terreno "l'antimafia sociale" è fondamentale, perché diventa un argine di costume, di esempio, di modo di concepire le relazioni sociali. Ed è su questo aspetto in particolare che ho l'impressione si sia registrato un calo di attenzione.
Anche a sinistra, dunque.
Tutto si può dire, nei confronti della sinistra, tranne il fatto che abbia messo la testa sotto la sabbia di fronte al fenomeno mafioso. Aggiungo anche che ultimamente si è avviata una vera riflessione critica su quello che è stato il centrosinistra nel Mezzogiorno, su quello che ha rappresentato nel territorio, e su quanto esso sia stato permeabile alle infiltrazioni mafiose e camorristiche. E' importante ora che questa riflessione continui, e sia messa al centro della campagna politica.
Un po' di autocritica non fa mai male.
E' ciò che la politica dovrebbe sempre fare: imparare dai propri errori per non ripeterli in futuro. Se è necessario, chiedere scusa, in altri casi, però, e nel nostro caso penso siano la maggioranza, camminare a testa alta: perché noi affari con i mafiosi non li abbiamo mai fatti.
Il centrosinistra ha la tendenza a dare per scontato che la mafia stia esclusivamente dall'altra parte, ritenendosi in una certa misura immune da infiltrazioni. E' effettivamente così?
Sì, ma è un errore. Guardiamo al numero dei consigli comunali sciolti per infiltrazioni camorristiche in Campania: buona parte erano di centrosinistra.
Quanto sono "trasversali", politicamente parlando, i valori della lotta alla mafia?
Non credo che la destra abbia mai fatto propri i valori dell'"antimafia sociale". Non perché questa sia caratterizzata da un colore politico, ma perché dietro la "cultura" della lotta alla mafia si cela un'idea ben precisa di società: inclusiva, che mette al centro il tema del reddito, della scolarizzazione, e non della centralità dell'impresa. Categorie politiche e sociali, queste, che alla destra mancano.
Si parla di camorra in Campania, di mafia in Sicilia, di ‘ndrangheta in Calabria. Non sarebbe il caso di considerare la malavita organizzata per quello che realmente è: un fenomeno che investe tutta l'Italia, e non più confinato solo a livello regionale? Perché si parla di imprese al Nord, e di lotta alla mafia al Sud?
Ho ascoltato il discorso di Walter Veltroni: con gli imprenditori del Nord non spende una parola sulla lotta all'evasione fiscale. Mentre dice che è finita la stagione del centrosinistra dal volto punitivo, che "noi vi faremo pagare meno tasse" e "vi faremo aprire un'azienda al giorno, purché portiate i certificati". Ma non specifica quali certificati: tra questi ci dovrebbe essere il certificato antimafia. Però Veltroni sembra esserselo dimenticato. Forse ritiene che la mafia finisca con il Garigliano, o forse sottovaluta le capacità mimetiche e camaleontiche della criminalità organizzata. Mafia, camorra e ‘ndrangheta sono forze intelligenti, in grado di dimostrarsi estremamente elastiche, e pronte nel cogliere le trasformazioni dell'economia e della società.
Gomorra ha fatto sì che la letteratura divenisse un problema per la mafia. Parlarne è il modo per fermarli, si è detto. Perché la politica non fa lo stesso?
Purtroppo la lotta alla criminalità organizzata non è ancora entrata a pieno titolo tra i temi da campagna elettorale. Lo deve diventare, e in questo noi stiamo cercando di fare la nostra parte. Claudio Fava, Francesco Forgione, nostri candidati rispettivamente in Sicilia e Calabria, sono forse la dimostrazione maggiore del nostro impegno. Episodi come quello che è accaduto in Sicilia con la candidatura di Lumia, per fortuna risoltasi con esito positivo, sono il segno della scarsa sensibilità di buona parte della politica di fronte a un fenomeno che ci riguarda da vicino, e ci riguarda tutti.
giovedì 13 marzo 2008
I lavoratori italiani sono i lavoratori più poveri
Anche l’Ocse conferma per l’ennesima volta ciò che già sapevamo, e che ai lavoratori e le lavoratrici italiane e ai pensionati è chiarissimo: i salari italiani sono tra i più bassi d’Europa e più in generale tra più bassi dei paesi industrializzati.
Negli ultimi anni si è verificato un gigantesco spostamento di ricchezza dai salari alle rendite e ai profitti perché sì è puntato a competere sui mercati internazionali comprimendo i costi del lavoro e della spesa sociale anziché puntare su qualità, innovazione, formazione e ricerca.
Cuneo fiscale e mancata restituzione del fiscal drag hanno completato l’opera di impoverimento del lavoro, trasformando i lavoratori italiani in lavoratori poveri, come in America.
Di fronte e tutto ciò diventa stucchevole e poco tollerabile il semplice commento.
È doveroso un soprassalto della politica che abbandoni le schermaglie elettorali per fare ciò che deve: l’ utilizzo del tesoretto per aumentare salari e pensioni così come ha già stabilito la finanziaria
La Sinistra l’Arcobaleno chiede che si ponga fine al balletto che è in corso sull’ esistenza e dimensione del tesoretto: parlano le cifre delle entrate fiscali che sono già certe .
Questo è oggi il banco di prova della serietà delle politica
A questo fine il Governo ancora in carica deve emanare un decreto: chi è contrario alzi la mano, lo dica pubblicamente agli elettori ed alle elettrici.
Negli ultimi anni si è verificato un gigantesco spostamento di ricchezza dai salari alle rendite e ai profitti perché sì è puntato a competere sui mercati internazionali comprimendo i costi del lavoro e della spesa sociale anziché puntare su qualità, innovazione, formazione e ricerca.
Cuneo fiscale e mancata restituzione del fiscal drag hanno completato l’opera di impoverimento del lavoro, trasformando i lavoratori italiani in lavoratori poveri, come in America.
Di fronte e tutto ciò diventa stucchevole e poco tollerabile il semplice commento.
È doveroso un soprassalto della politica che abbandoni le schermaglie elettorali per fare ciò che deve: l’ utilizzo del tesoretto per aumentare salari e pensioni così come ha già stabilito la finanziaria
La Sinistra l’Arcobaleno chiede che si ponga fine al balletto che è in corso sull’ esistenza e dimensione del tesoretto: parlano le cifre delle entrate fiscali che sono già certe .
Questo è oggi il banco di prova della serietà delle politica
A questo fine il Governo ancora in carica deve emanare un decreto: chi è contrario alzi la mano, lo dica pubblicamente agli elettori ed alle elettrici.
lunedì 10 marzo 2008
Vittoria di Zapatero, vittoria del PSOE (Partito Socialista Operaio Spagnolo)
Zapatero fiero della sua cultura socialista e di sinistra
di Fulvia Bandoli*
In Spagna vince Zapatero, una persona che si definisce di sinistra e socialista e che non si è mai sognato di prendere le distanze dalla sua storia politica e dai suoi principi.
Qualcuno scriverà che in quel paese è più semplice, perché ci sono fondamentalmente solo due grandi partiti. Ed è vero, ma sono partiti che hanno un profilo assai ben definito, entrambi radicati socialmente in modo solido; e che certo non sono nati ieri da fusioni fredde, o da colpi di teatro sul predellino di un'automobile. Non sono partiti-coalizione che raccolgono tutto e il contrario di tutto. Quel bipartitismo non è forzato come da noi, è figlio di una lunga storia. Una storia che tiene però sul campo un grande e forte partito di sinistra e del socialismo europeo. Una storia che interroga molti in Italia: noi che stiamo cercando di dar vita ad una sinistra unita e plurale che non abbia un profilo di protesta ma sappia confrontarsi con i grandi temi della qualità dello sviluppo e le grandi ingiustizie; il Pd che definendosi partito riformatore ma non di sinistra (e tantomeno socialista) rischia di diventare un ibrido.
La ragione di fondo della vittoria del Psoe ( partito socialista operaio spagnolo) mi pare stia nel fatto che il suo Presidente del Consiglio è andato al Governo per un pelo cinque anni or sono ma non ha deragliato neppure per un momento dal programma che aveva presentato agli elettori.
Come primo atto e senza suonare la fanfara ha fatto un governo di sedici persone, e la metà dei ministri erano donne.
Come a dire che per lui era chiaro che una società di donne e di uomini può essere diretta solo da un governo di donne e di uomini. Un gran bel segnale.
Ha avuto il coraggio di dar vita ad un confronto difficile con le gerarchie ecclesiastiche spagnole (che non sono meno forti di quelle italiane) e di tenere fermi i suoi propositi ( in materia di diritti civili e di violenza sulle donne ad esempio). E ha potuto farlo perché la laicità dello stato è un principio che nessuno nel Psoe mette in discussione (mentre da noi è proprio dentro il Pd che si ferma e si paralizza il confronto prima di ogni decisione in materia di laicità).
Ha sostenuto i redditi e i salari più bassi, ha innovato sul fronte delle politiche energetiche (oggi la Spagna produce più energie rinnovabili di quante ne produciamo noi), ha mantenuto una linea chiara in politica estera.
Certo ci sono provvedimenti che si possono condividere oppure no (sulla politica economica io avrei diverse osservazioni) ma è indubbio che Zapatero e il Psoe avevano ed hanno una idea sulla Spagna del futuro, una idea di sviluppo che fa i conti con le grandi contraddizioni ambientali, un forte ancoraggio al tema della giustizia sociale e alla difesa dei più deboli. Più che spettacolarizzare la politica i socialisti spagnoli hanno realizzato quasi tutti gli impegni che avevano preso con gli elettori che li avevano votati.
Più che rafforzare la sua immagine di "uomo solo al comando" o di "monarca" come oggi scrive Rossanda sul Manifesto, in Spagna si è affermata piano piano una nuova classe dirigente di sinistra, socialista, di donne e di uomini.
Quel che non è riuscita a fare l'Unione e che ha pagato a caro prezzo. E come altre volte ho scritto, non per colpa delle forze della sinistra. Ma perché fin dall’inizio del governo Prodi una parte consistente delle forze di centro e della Margherita (ora Pd) hanno bloccato buona parte delle riforme in cantiere (dal superamento della legge 30 sul precariato, alla patrimoniale sulle grandi rendite, dal conflitto di interessi all'allargamento dei diritti civili ai conviventi). E in secondo luogo perché la nascita di un Pd che aveva nel suo leader la stella polare non poteva che indebolire il Governo Prodi.
Insomma dalla Spagna, e anche dalla Francia, vengono buoni segnali. Bene faremmo tutti a non stiracchiarli da una parte o dall’altra ma a guardarli per ciò che sono.
*della Presidenza di Sinistra Democratica
domenica 9 marzo 2008
Fai una scelta di parte!
L'appello del candidato premier per la Sinistra l'Arcobaleno, Fausto Bertinotti.
Cara compagna, caro compagno,
Cara amica, caro amico,
Abbiamo scelto di essere di parte
Il percorso che abbiamo avviato con La Sinistra L’Arcobaleno risponde a un bisogno diffuso, in Italia e in Europa, in cui grandi disuguaglianze sociali si accompagnano a interrogativi di fondo sul futuro individuale e collettivo di tutti noi.
Oggi sono in gioco, non solo le conquiste sociali dei lavoratori, delle donne, del movimento pacifista ed ecologista, nati dalla vittoria sul nazifascismo, ma anche il diritto al lavoro e all’auto-organizzazione per la difesa dei propri diritti.
I bassi salari, la diffusione della precarietà, l’incertezza della vita, la crisi della coesione sociale si propongono come conseguenze della ristrutturazione capitalistica mondiale.
Alla precarietà, non solo come disagio sociale, ma come condizione culturale ed esistenziale, si sommano le paure e le insicurezze dettate dalle inquietudini legate all’ambiente e al clima.
Il rischio al quale si trovano di fronte il nostro paese e l’Europa, se non si inverte la tendenza in atto, è quello di sacrificare una intera generazione, costringendola a pagare tutti i costi di una crisi profonda, nelle sue fondamenta sociali e politiche.
Inoltre, la subordinazione del sistema politico agli interessi dei mercati finanziari e dei poteri economici capitalisti, la concentrazione dei poteri, la personalizzazione della politica rimettono in discussione l’organizzazione tradizionale della società civile.
Lo stesso percorso del PD e del tentativo in atto di imporre un sistema bi-partitico, perseguito con grande determinazione dai due soggetti interessati – PD e PDL – ci parlano esattamente di questo.
Della scelta di considerare la libera impresa come un vero e proprio paradigma, un modello da seguire, per l’intera organizzazione dell’economia e della società.
In questa direzione vanno letti la rimessa in discussione dell’articolo 18, i falsi discorsi sulla meritocrazia, il rilancio di vecchie soluzioni e delle grandi opere, sotto le vesti "dell’ambientalismo del fare", per affrontare problemi come i rifiuti o l’energia. La presunta neutralità di questo paradigma tende così a sostituirsi alla politica o ad asservirla ai propri fini. La politica rischia così di essere condannata all’inutilità.
Per queste ragioni, la Sinistra, l’Arcobaleno non vuole essere sono un cartello elettorale, ma ha l’ambizione progettuale di rispondere al bisogno di politica come rappresentanza sociale in quanto tale, e allo stesso tempo come spazio pubblico nel quale ritessere rapporti e relazioni umane, in un mondo che tende a relegarci sempre più alle solitudini e alle paure, di chi non riesce più ad immaginarsi proiettato nel futuro.
E’ per questo che c’è bisogno di tutti. Ed è importante che ognuno porti con sé la propria storia, la propria umanità, la propria condizione sociale e professionale, per contribuire a individuare nuove strategie, nuove pratiche, superando anche quelle diffidenze o resistenze, o anche legittime preoccupazioni di essere chiamati a mettere da parte i propri simboli, per riconoscersi in una nuova impresa collettiva.
Non chiediamo deleghe, ma partecipazione e protagonismo, a ognuna e ognuno partendo da sé, nei luoghi di lavoro, di studio, dalle proprie condizioni di vita.
La Sinistra e L’Arcobaleno sarà importante non solo per decidere quanti compagne e compagni siederanno in parlamento, ma per far vivere un progetto politico culturale in una società in cui: i migranti e le loro storie siano considerati un valore, le donne siano davvero libere di scegliere di avere o non avere un figlio, il lavoro operaio sia socialmente riconosciuto, lo Stato sia effettivamente laico e perciò non "detti legge", ma riconosca strumenti e opportunità a ognuno e ognuna per decidere i propri affetti, la sessualità, modalità di vita.
Ti chiediamo di darci una mano, di fare quello che è nelle tue possibilità per costruire la Sinistra del domani.
Un grande abbraccio,
Fausto Bertinotti
sabato 8 marzo 2008
La coerenza è davvero un bene raro
La coerenza è davvero un bene raro
di Massimo Mezzetti*
Paolo Nerozzi, candidato per il Partito Democratico nella stessa regione in cui il Pd presenta come capolista il presidente di federmeccanica, fautore dell'abolizione dell'articolo 18 e grande sostenitore della legge 30, ha accusato La Sinistra - l’Arcobaleno di non occuparsi dei lavoratori.
Ci saremmo aspettati almeno la dignità del silenzio. La posizione di Nerozzi è imbarazzante. Si trova ad essere candidato in un partito che ha attaccato sino all'altro ieri per le sue posizioni di equidistanza tra lavoro e impresa. Vorrei chiedere da giorni a Paolo cosa sia cambiato da allora, a parte la certezza del suo posto nel prossimo parlamento.
Le liste de La Sinistra – l’Arcobaleno vedono la presenza di centinaia di lavoratori e lavoratrici, molti precari, giovani e non. La differenza fra noi e il PD è che i nostri candidati non sono usati come “madonne pellegrine” da portare in giro e mostrare come trofei di caccia. Forse perchè non abbiamo bisogno di foglie di fico per coprire la selva di candidati espressione delle peggiori logiche confindustriali. Nerozzi ha bisogno di urlare per denunciare quello che, impropriamente, definisce uno “scandalo”. Si sa, i vasi vuoti sono quelli che fanno più rumore. A corto di argomenti per giustificare le sue rocambolesche giravolte ha bisogno di attaccare i suoi compagni di un tempo. Un classico degli “ex”.
Il nostro ex sindacalista si compiace di come Veltroni sappia mantenere le promesse. Verso di lui, sicuramente. Verso il mondo del lavoro, e soprattutto verso quella Cgil che è palesemente preoccupata dalle posizioni del Pd su lavoro e impresa, no di certo.
Ricordo quando Nerozzi, su “Aprileonline” del 3 dicembre del 2007, tuonava contro le notizie pubblicate da Liberazione e Manifesto rispetto alla "rottura" tra lui e Sinistra Democratica: "sono solo falsità!".
"E' incredibile, quante bugie vengono mese in giro”, insisteva Nerozzi, “….Le forze politiche si costruiscono su valori, sulle pratiche e sui comportamenti. Questo dovrebbe valere se si vuole veramente costruire una sinistra senza aggettivi. ….Guarda – proseguiva Nerozzi - cito il Vangelo: nei fatti si verificherà la verità! Il problema è che quando non si è d'accordo con una persona la si demonizza, è un vecchio metodo che appartiene al secolo scorso e che ha procurato tanti danni al movimento operaio. Partire così, non è certo il miglior sintomo per dar vita ad una cosa nuova”.
Alla domanda: dove andrebbe, allora Nerozzi? Lo stesso Nerozzi rispondeva: “in Cgil. I sindacalisti fanno i sindacalisti …… proprio in una rappresentanza politica dilaniata del lavoro si può fare politica facendo anche "solo" il sindacalista. E' una concezione terzointernazionalista quella che ci si debba "accasare" per forza. La politica si fa anche attraverso forme diverse”.
E’ proprio vero quello che affermava un saggio letterato francese del ‘700: è più facile dire continuamente cose nuove piuttosto che essere coerenti con quelle precedentemente dette.
*Consigliere Regionale e Coordinatore SD Emilia-Romagna
di Massimo Mezzetti*
Paolo Nerozzi, candidato per il Partito Democratico nella stessa regione in cui il Pd presenta come capolista il presidente di federmeccanica, fautore dell'abolizione dell'articolo 18 e grande sostenitore della legge 30, ha accusato La Sinistra - l’Arcobaleno di non occuparsi dei lavoratori.
Ci saremmo aspettati almeno la dignità del silenzio. La posizione di Nerozzi è imbarazzante. Si trova ad essere candidato in un partito che ha attaccato sino all'altro ieri per le sue posizioni di equidistanza tra lavoro e impresa. Vorrei chiedere da giorni a Paolo cosa sia cambiato da allora, a parte la certezza del suo posto nel prossimo parlamento.
Le liste de La Sinistra – l’Arcobaleno vedono la presenza di centinaia di lavoratori e lavoratrici, molti precari, giovani e non. La differenza fra noi e il PD è che i nostri candidati non sono usati come “madonne pellegrine” da portare in giro e mostrare come trofei di caccia. Forse perchè non abbiamo bisogno di foglie di fico per coprire la selva di candidati espressione delle peggiori logiche confindustriali. Nerozzi ha bisogno di urlare per denunciare quello che, impropriamente, definisce uno “scandalo”. Si sa, i vasi vuoti sono quelli che fanno più rumore. A corto di argomenti per giustificare le sue rocambolesche giravolte ha bisogno di attaccare i suoi compagni di un tempo. Un classico degli “ex”.
Il nostro ex sindacalista si compiace di come Veltroni sappia mantenere le promesse. Verso di lui, sicuramente. Verso il mondo del lavoro, e soprattutto verso quella Cgil che è palesemente preoccupata dalle posizioni del Pd su lavoro e impresa, no di certo.
Ricordo quando Nerozzi, su “Aprileonline” del 3 dicembre del 2007, tuonava contro le notizie pubblicate da Liberazione e Manifesto rispetto alla "rottura" tra lui e Sinistra Democratica: "sono solo falsità!".
"E' incredibile, quante bugie vengono mese in giro”, insisteva Nerozzi, “….Le forze politiche si costruiscono su valori, sulle pratiche e sui comportamenti. Questo dovrebbe valere se si vuole veramente costruire una sinistra senza aggettivi. ….Guarda – proseguiva Nerozzi - cito il Vangelo: nei fatti si verificherà la verità! Il problema è che quando non si è d'accordo con una persona la si demonizza, è un vecchio metodo che appartiene al secolo scorso e che ha procurato tanti danni al movimento operaio. Partire così, non è certo il miglior sintomo per dar vita ad una cosa nuova”.
Alla domanda: dove andrebbe, allora Nerozzi? Lo stesso Nerozzi rispondeva: “in Cgil. I sindacalisti fanno i sindacalisti …… proprio in una rappresentanza politica dilaniata del lavoro si può fare politica facendo anche "solo" il sindacalista. E' una concezione terzointernazionalista quella che ci si debba "accasare" per forza. La politica si fa anche attraverso forme diverse”.
E’ proprio vero quello che affermava un saggio letterato francese del ‘700: è più facile dire continuamente cose nuove piuttosto che essere coerenti con quelle precedentemente dette.
*Consigliere Regionale e Coordinatore SD Emilia-Romagna
giovedì 6 marzo 2008
intervento di Samuele Mascarini
Se uno sogna insieme a molti altri è la nuova realtà che comincia
In questo intenso e complesso avvio di campagna elettorale - che vede nel nostro Paese la Sinistra impegnata non solo ad affermare le sue ragioni ma anche a ripensare e a ridefinire in termini plurali ma unitari la sua funzione - si avverte sempre piu’ una domanda provenire dalle giovani generazioni: una domanda non tanto e non solo di partecipazione ma soprattutto di senso, che interroga la politica e in particolare proprio la Sinistra Arcobaleno.
Oggi più che mai infatti le ragazze e i ragazzi ci chiedono un luogo, uno spazio politico che dia risposte a quella loro profonda inquietudine, a quella loro voglia di non arrendersi, di non cedere all’idea di vivere in un Paese vecchio corrotto ed egoista, incapace di pensare il futuro, incapace di riconoscere il merito e i talenti, incapace di impedire che un giovane operaio ogni giorno perda la vita per guadagnare non più di 1000 euro al mese. C’è un enorme domanda di politica, c’è voglia di combattere, di esserci, di impegnarsi.
In questo senso noi non possiamo dimenticare che la nostra generazione vive e conosce una dimensione immensamente più grande di relazioni e di consapevolezza di quello che accade nel mondo: la lotta per la pace, il bisogno di giustizia sociale, le grandi questioni sollevate dai mutamenti climatici, il libero accesso al sapere, la lotta contro il razzismo, la richiesta di nuovi diritti civili e sociali, il sogno di costruire una società più giusta: questi sono obiettivi e passioni che una significativa parte della nostra generazione persegue e conosce e sui cui determina le proprie scelte politiche.
Ora la Sinistra deve dare voce e strumenti a chi fino ad oggi si è organizzato da solo o con la propria associazione o con un gruppo di amici e compagni a scuola o all’università, nella periferia metropolitana o nel paese di provincia: perché la politica e la stessa Sinistra sono più larghe e più grandi di questa o quella organizzazione, di questo o quel singolo partito. E questa è una consapevolezza che non ci deve abbandonare, soprattutto oggi nel momento in cui tanti invece vorrebbero ridurre e relegare la presenza della Sinistra nel nostro Paese a mera testimonianza.
Se noi vogliamo essere davvero il luogo in cui questa generazione può costruire una politica e una Sinistra nuove dobbiamo allora fare ogni sforzo - anche in questa campagna elettorale - per colmare quell’enorme divario che si avverte a mille chilometri di distanza fra la politica melmosa dei giochi di potere e la nostra capacità di cambiare davvero le cose, di essere parte di una grande sfida collettiva, fatta di tante e diverse storie.
La politica infatti soffre oggi di una grave forma di delegittimazione e distacco che tocca anche le giovani generazioni, ma questa sfiducia, questo scollamento, questa atomizzazione della società, non si argina di certo facendo finta di nulla, giocando con gli slogan o peggio perseguendo l’imitazione dei modelli populisti della destra, solo in “salsa democratica”. Una politica che invece dovrebbe essere chiamata a combattere nuove e pericolosissime forme di alienazione e solitudine: la solitudine dei giovani precari, la solitudine dei giovani migranti, la solitudine delle grandi periferie urbane, la solitudine che nasce dall’impossibilità di accedere al sapere, alle opportunità di una società della conoscenza in cui chi non può viaggiare, non può studiare, non può collegarsi alla rete vive una condizione di debolezza e chiusura amplificate oltre ogni immaginazione.
Per questo – a partire dalla campagna elettorale che giorno per giorno stiamo affrontando - la nostra deve essere una politica del fare, capace di costruire e diffondere cultura e consapevolezza, capace di organizzare mobilitazione e battaglie, capace di trasmettere passione e speranza. È evidente in tal senso che di fronte a noi si delinea una grande sfida per l’egemonia, per dare il segno alla strada che dovrà portare alla rinascita della politica: una sfida che solo una Sinistra unitaria e plurale al tempo stesso può comprendere e tentare di vincere. Infatti dopo la sfiducia e il distacco viene un tempo in cui alle giovani generazioni va offerto un pensiero, una visione del mondo, un’idea di società, un progetto nel contempo individuale e collettivo per costruire il futuro: quel tempo è oggi e a farlo deve essere, con grande generosità, la Sinistra Arcobaleno. Sapendo che l’alternativa sarebbe l’Italietta triste e squallida dei ricchi potenti e cafoni, dei ladri celebrati come eroi purchè rubino evadendo le tasse, dei fascisti in doppio petto.
Tra le giovani generazioni si gioca quindi una battaglia decisiva, che possiamo e dobbiamo vincere.
Oggi più che mai tornano alla mente poche eppure importanti parole che, da Porto Alegre in poi, hanno accompagnato in questi anni di passioni e speranze tante e tanti di noi, parole che nella loro semplicità dicono esattamente tutto quello che sentiamo e tutto quello che dobbiamo fare: “Se uno sogna da solo, è solo un sogno. Se uno sogna insieme a molti altri, è la nuova realtà che comincia”.
In questo intenso e complesso avvio di campagna elettorale - che vede nel nostro Paese la Sinistra impegnata non solo ad affermare le sue ragioni ma anche a ripensare e a ridefinire in termini plurali ma unitari la sua funzione - si avverte sempre piu’ una domanda provenire dalle giovani generazioni: una domanda non tanto e non solo di partecipazione ma soprattutto di senso, che interroga la politica e in particolare proprio la Sinistra Arcobaleno.
Oggi più che mai infatti le ragazze e i ragazzi ci chiedono un luogo, uno spazio politico che dia risposte a quella loro profonda inquietudine, a quella loro voglia di non arrendersi, di non cedere all’idea di vivere in un Paese vecchio corrotto ed egoista, incapace di pensare il futuro, incapace di riconoscere il merito e i talenti, incapace di impedire che un giovane operaio ogni giorno perda la vita per guadagnare non più di 1000 euro al mese. C’è un enorme domanda di politica, c’è voglia di combattere, di esserci, di impegnarsi.
In questo senso noi non possiamo dimenticare che la nostra generazione vive e conosce una dimensione immensamente più grande di relazioni e di consapevolezza di quello che accade nel mondo: la lotta per la pace, il bisogno di giustizia sociale, le grandi questioni sollevate dai mutamenti climatici, il libero accesso al sapere, la lotta contro il razzismo, la richiesta di nuovi diritti civili e sociali, il sogno di costruire una società più giusta: questi sono obiettivi e passioni che una significativa parte della nostra generazione persegue e conosce e sui cui determina le proprie scelte politiche.
Ora la Sinistra deve dare voce e strumenti a chi fino ad oggi si è organizzato da solo o con la propria associazione o con un gruppo di amici e compagni a scuola o all’università, nella periferia metropolitana o nel paese di provincia: perché la politica e la stessa Sinistra sono più larghe e più grandi di questa o quella organizzazione, di questo o quel singolo partito. E questa è una consapevolezza che non ci deve abbandonare, soprattutto oggi nel momento in cui tanti invece vorrebbero ridurre e relegare la presenza della Sinistra nel nostro Paese a mera testimonianza.
Se noi vogliamo essere davvero il luogo in cui questa generazione può costruire una politica e una Sinistra nuove dobbiamo allora fare ogni sforzo - anche in questa campagna elettorale - per colmare quell’enorme divario che si avverte a mille chilometri di distanza fra la politica melmosa dei giochi di potere e la nostra capacità di cambiare davvero le cose, di essere parte di una grande sfida collettiva, fatta di tante e diverse storie.
La politica infatti soffre oggi di una grave forma di delegittimazione e distacco che tocca anche le giovani generazioni, ma questa sfiducia, questo scollamento, questa atomizzazione della società, non si argina di certo facendo finta di nulla, giocando con gli slogan o peggio perseguendo l’imitazione dei modelli populisti della destra, solo in “salsa democratica”. Una politica che invece dovrebbe essere chiamata a combattere nuove e pericolosissime forme di alienazione e solitudine: la solitudine dei giovani precari, la solitudine dei giovani migranti, la solitudine delle grandi periferie urbane, la solitudine che nasce dall’impossibilità di accedere al sapere, alle opportunità di una società della conoscenza in cui chi non può viaggiare, non può studiare, non può collegarsi alla rete vive una condizione di debolezza e chiusura amplificate oltre ogni immaginazione.
Per questo – a partire dalla campagna elettorale che giorno per giorno stiamo affrontando - la nostra deve essere una politica del fare, capace di costruire e diffondere cultura e consapevolezza, capace di organizzare mobilitazione e battaglie, capace di trasmettere passione e speranza. È evidente in tal senso che di fronte a noi si delinea una grande sfida per l’egemonia, per dare il segno alla strada che dovrà portare alla rinascita della politica: una sfida che solo una Sinistra unitaria e plurale al tempo stesso può comprendere e tentare di vincere. Infatti dopo la sfiducia e il distacco viene un tempo in cui alle giovani generazioni va offerto un pensiero, una visione del mondo, un’idea di società, un progetto nel contempo individuale e collettivo per costruire il futuro: quel tempo è oggi e a farlo deve essere, con grande generosità, la Sinistra Arcobaleno. Sapendo che l’alternativa sarebbe l’Italietta triste e squallida dei ricchi potenti e cafoni, dei ladri celebrati come eroi purchè rubino evadendo le tasse, dei fascisti in doppio petto.
Tra le giovani generazioni si gioca quindi una battaglia decisiva, che possiamo e dobbiamo vincere.
Oggi più che mai tornano alla mente poche eppure importanti parole che, da Porto Alegre in poi, hanno accompagnato in questi anni di passioni e speranze tante e tanti di noi, parole che nella loro semplicità dicono esattamente tutto quello che sentiamo e tutto quello che dobbiamo fare: “Se uno sogna da solo, è solo un sogno. Se uno sogna insieme a molti altri, è la nuova realtà che comincia”.
mercoledì 5 marzo 2008
intervista a Gianni Rinaldini
Intervista di Roberto Giovaninni (“La Stampa” 02 marzo) a Gianni Rinaldini, segretario FIOM-CGIL
“Waltr esagera, crede di essere in America”
D- Rinaldini, che ne pensa della candidatura di Massimo Caleano nelle liste del PD? È una sorpresa?
R- Sorpreso? No. Intanto gli faccio i miei auguri. Detto questo, se dovessi dire che non me l’aspettavo, direi una cosa non vera. Penso piuttosto che la scelta del Pd – che non casualmente si chiama così – di candidare un esponente così importante di Confindustria, è una scelta esplicita di porsi su un terreno interclassista e far proprio l’orizzonte del mercato.
D- Scelta che si direbbe, non gradisce.
R- Mi pare che quello di Veltroni sia il tentativo di chiudere una volta per tutte una storia europea, che si è caratterizzata per la presenza della Sinistra, nelle sue diverse articolazioni. E proporre un modello americano in cui la sinistra non c’è e non è prevista. Il leader del Pd lo afferma in ogni occasione.
D- E Calearo, in questo disegno?
R- Detto che con lui ho sempre avuto rapporti corretti, mi pare che candidare un personaggio come il presidente degli industriali metalmeccanici sia una scelta politica molto forte, e molto chiara. Forse, un’esagerazione, se posso sommessamente permettermi. Per quello che rappresenta Federmeccanica e i suoi presidenti nella storia del paese. È però una scelta coerente con il programma del Pd, con le cose che dice Veltroni. Per questo non mi sorprende né la candidatura di Ichino né quella di Calearo. Mi sorprende semmai chi fa finta di non capire, chi ancora oggi afferma che il Pd sia un partito della sinistra.
D- E per il sindacato, cosa significa?
R- Si imporrà una discussione, in Cgil, credo. Il tentativo di ridisegnare – senza la sinistra – la geografia politica del paese consegna alla Cgil una situazione inedita nella storia. Qualcuno potrebbe avere la tentazione di forzare un’unità sindacale derivata dalla politica, a 60 anni dalla scissione sindacale del 1948.
D- E lei, Rinaldini? Voterà per il Pd di Calearo?
R- Io non ho partecipato al congresso dei DS, era già tutto scontato, esito compreso, già deciso. Personalmente faccio parte di associazioni come “Uniti a Sinistra” che sollecitano la costruzione di un soggetto della sinistra in questo paese, e dunque guardo con simpatia alla Sinistra Arcobaleno. Ma secondo me è necessaria una cosa “nuova”, come è avvenuto con la nascita di “Die Linke” in Germania.
“Waltr esagera, crede di essere in America”
D- Rinaldini, che ne pensa della candidatura di Massimo Caleano nelle liste del PD? È una sorpresa?
R- Sorpreso? No. Intanto gli faccio i miei auguri. Detto questo, se dovessi dire che non me l’aspettavo, direi una cosa non vera. Penso piuttosto che la scelta del Pd – che non casualmente si chiama così – di candidare un esponente così importante di Confindustria, è una scelta esplicita di porsi su un terreno interclassista e far proprio l’orizzonte del mercato.
D- Scelta che si direbbe, non gradisce.
R- Mi pare che quello di Veltroni sia il tentativo di chiudere una volta per tutte una storia europea, che si è caratterizzata per la presenza della Sinistra, nelle sue diverse articolazioni. E proporre un modello americano in cui la sinistra non c’è e non è prevista. Il leader del Pd lo afferma in ogni occasione.
D- E Calearo, in questo disegno?
R- Detto che con lui ho sempre avuto rapporti corretti, mi pare che candidare un personaggio come il presidente degli industriali metalmeccanici sia una scelta politica molto forte, e molto chiara. Forse, un’esagerazione, se posso sommessamente permettermi. Per quello che rappresenta Federmeccanica e i suoi presidenti nella storia del paese. È però una scelta coerente con il programma del Pd, con le cose che dice Veltroni. Per questo non mi sorprende né la candidatura di Ichino né quella di Calearo. Mi sorprende semmai chi fa finta di non capire, chi ancora oggi afferma che il Pd sia un partito della sinistra.
D- E per il sindacato, cosa significa?
R- Si imporrà una discussione, in Cgil, credo. Il tentativo di ridisegnare – senza la sinistra – la geografia politica del paese consegna alla Cgil una situazione inedita nella storia. Qualcuno potrebbe avere la tentazione di forzare un’unità sindacale derivata dalla politica, a 60 anni dalla scissione sindacale del 1948.
D- E lei, Rinaldini? Voterà per il Pd di Calearo?
R- Io non ho partecipato al congresso dei DS, era già tutto scontato, esito compreso, già deciso. Personalmente faccio parte di associazioni come “Uniti a Sinistra” che sollecitano la costruzione di un soggetto della sinistra in questo paese, e dunque guardo con simpatia alla Sinistra Arcobaleno. Ma secondo me è necessaria una cosa “nuova”, come è avvenuto con la nascita di “Die Linke” in Germania.
sabato 1 marzo 2008
Salviamola noi, subito, la pace in Palestina
Salviamola noi, subito, la pace in Palestina
Ali Rashid
dal "Manifesto" del 29 febbraio
Tra incursioni dei carri armati e bombardamenti aerei continua da mesi l'offensiva militare israeliana nei territori occupati palestinesi. Il bilancio delle vittime è molto alto, solo negli ultimi due giorni sono caduti nella Striscia di Gaza 27 palestinesi, di cui molti civili, compresi 9 bambini, una di loro di appena cinque mesi. Il numero dei feriti sarebbe il triplo. Mentre sto scrivendo, Al Jazeera parla di un nuovo raid aereo con altre vittime.
Il premier israeliano Olmert minaccia di intensificare gli attacchi come rappresaglia ai lanci dei missili artigianali Qassam da parte di Hamas contro le cittadine israeliane prossime alla Striscia, sottolineando che «nessuno di Hamas, dal più grande al più piccolo, può considerarsi al sicuro». Un missile, infatti, ha sfiorato l'ufficio di Haniyeh, già primo ministro del governo d'unità nazionale.
Nei prossimi giorni, nonostante che settori della società israeliana parlino di «trattare anche con Hamas», assisteremo ad un ulteriore salto qualitativo nelle operazione militari israeliane e non solo contro la Striscia di Gaza. Eventualità che ha indotto Hussein di Giordania a recarsi negli Stati Uniti per parlare del processo di pace con Bush. Di fronte alla morte quotidiana seminata dall'esercito israeliano, con Hamas si sono schierate le altre organizzazioni palestinesi, compreso il braccio militare di Al Fatah. Cosa che rende ancora più difficile la posizione di Abu Mazen che ha condannato più di una volta il lancio dei Qassam da parte di Hamas chiedendone l'immediata cessazione per non fornire a Olmert e al ministro della difesa Barak un pretesto per disimpegnarsi dalle dichiarazioni, assai vaghe, della conferenza di Annapolis. Di più c'è da dire che Olmert ha il bisogno politico di far dimenticare la sconfitta militare subita da Hezbollah nel 2006 in Libano. Si apre una fase delicata che potrebbe allungare la vita del governo Olmert e offrire a Barak la possibilità di presentarsi come l'uomo forte, in grado di risolvere militarmente tutti i problemi d'Israele, come del resto è sempre avvenuto in passato.
La repressione militare non ha risparmiato altre zone come Nablus nel nord della Cisgiordania, dove da mesi non s'erano registrate attività militari dei palestinesi. Addirittura ieri ci sono state altre quattro vittime tra i palestinesi, uccisi a sangue freddo da una pattuglia di soldati israeliani mimetizzati da arabi com'è accaduto spesso nell'Intifada. I caduti fanno parte di Al Fatah, si tratta di giovani che hanno aderito al piano di Abu Mazen e che si erano dissociati dalla resistenza armata. Un atto che viene letto come un schiaffo al presidente palestinese e un ulteriore sfregio alla sua credibilità .
Hamas proprio a partire dal ruolo che gioca come unica forza che ha il controllo di Gaza, avrebbe dovuto essere più responsabile e fare in modo di risparmiare ogni nuova sofferenza inutile al suo popolo. Nella Striscia sotto assedio da lunghi mesi ormai scarseggia tutto. Mancano i medicinali, il cibo, quella poca acqua che c'è non è potabile, manca il carburante e tutti i generi di prima necessità. Per rappresaglia, l'esercito Israeliano ha distrutto tre anni fa la centrale elettrica mettendo a rischio il funzionamento di tutto, dagli ospedali alle centrali di smaltimento dei rifiuti che ormai dipendono dalle forniture di Israele. Gaza ormai è una grande prigione a cielo aperto. Un grande campo di concentramento controllata «al microscopio», giorno e notte, attraverso satelliti e aerei spia. Ad Israele non sfugge nulla e nessuno, e fa delle punizioni collettive a largo o intenso spettro un uso sistematico, senza che nessuno intervenga o dica nulla. Dov'è l'Europa? E dove l'Italia? Nel silenzio della comunità internazionale i palestinesi - e non solo loro - avvertono una grave complicità. A differenza di quanto avviene qui, in quel mondo non molto lontano, in Medio Oriente, centinaia di milioni di persone vedono in diretta attraverso le tv satellitari non uno «spettacolo» ma una sofferenza ormai fuori dalla soglia della narrabilità. Queste immagini quotidiane, che è certo non aiutano il senso d'equilibrio, parlano invece del silenzio e dell'omertà che circondano questa tragedia. Tantopiù che la ferita sempre aperta della Palestina rappresenta il cuore delle altre crisi internazionali, delle altre guerre e missioni militari che l'Occidente conduce - in Iraq, in Afghanistan, in Libano - dopo l'11 settembre.
Si vuole azzerare ogni possibilità di pace? Perché ieri i missili intelligenti dell'aviazione israeliana hanno colpito la clinica Medical Relief, distruggendone anche l'unica ambulanza. Si tratta di una clinica costruita anche grazie ad una campagna di solidarietà sostenuta da il manifesto e promossa dall'Associazione Gazzella, fondata dalla nostra amica Marina Rossanda e da Giancarlo Lannutti. Due compagni dei quali davvero sentiamo tutto il peso della scomparsa per la loro passione per la pace in Palestina. In questi giorni di campagna elettorale dove la questione della pace e della guerra è incredibilmente scomparsa dai programmi dei grandi come dei piccoli partiti. Eppure anche la tragedia della Palestina come la guerra in generale sono diventati il costante strumento politico nel governo del mondo che abbiamo ereditato. Queste crisi dovrebbero ricordarci quanto sia necessaria una forte affermazione della sinistra. E insieme ricordare alla sinistra che l'impegno contro la guerra non è un lusso o un belletto dei programmi, ma un asse costante e rigoroso. Perché allora non apriamo una sottoscrizione in piena campagna elettorale per ricostruire la clinica Medical Relief e riacquistare l'ambulanza distrutta. Così, almeno, la pace contro la guerra potrebbe tornare ad essere utile anche alla nostra campagna elettorale.
Ali Rashid
dal "Manifesto" del 29 febbraio
Tra incursioni dei carri armati e bombardamenti aerei continua da mesi l'offensiva militare israeliana nei territori occupati palestinesi. Il bilancio delle vittime è molto alto, solo negli ultimi due giorni sono caduti nella Striscia di Gaza 27 palestinesi, di cui molti civili, compresi 9 bambini, una di loro di appena cinque mesi. Il numero dei feriti sarebbe il triplo. Mentre sto scrivendo, Al Jazeera parla di un nuovo raid aereo con altre vittime.
Il premier israeliano Olmert minaccia di intensificare gli attacchi come rappresaglia ai lanci dei missili artigianali Qassam da parte di Hamas contro le cittadine israeliane prossime alla Striscia, sottolineando che «nessuno di Hamas, dal più grande al più piccolo, può considerarsi al sicuro». Un missile, infatti, ha sfiorato l'ufficio di Haniyeh, già primo ministro del governo d'unità nazionale.
Nei prossimi giorni, nonostante che settori della società israeliana parlino di «trattare anche con Hamas», assisteremo ad un ulteriore salto qualitativo nelle operazione militari israeliane e non solo contro la Striscia di Gaza. Eventualità che ha indotto Hussein di Giordania a recarsi negli Stati Uniti per parlare del processo di pace con Bush. Di fronte alla morte quotidiana seminata dall'esercito israeliano, con Hamas si sono schierate le altre organizzazioni palestinesi, compreso il braccio militare di Al Fatah. Cosa che rende ancora più difficile la posizione di Abu Mazen che ha condannato più di una volta il lancio dei Qassam da parte di Hamas chiedendone l'immediata cessazione per non fornire a Olmert e al ministro della difesa Barak un pretesto per disimpegnarsi dalle dichiarazioni, assai vaghe, della conferenza di Annapolis. Di più c'è da dire che Olmert ha il bisogno politico di far dimenticare la sconfitta militare subita da Hezbollah nel 2006 in Libano. Si apre una fase delicata che potrebbe allungare la vita del governo Olmert e offrire a Barak la possibilità di presentarsi come l'uomo forte, in grado di risolvere militarmente tutti i problemi d'Israele, come del resto è sempre avvenuto in passato.
La repressione militare non ha risparmiato altre zone come Nablus nel nord della Cisgiordania, dove da mesi non s'erano registrate attività militari dei palestinesi. Addirittura ieri ci sono state altre quattro vittime tra i palestinesi, uccisi a sangue freddo da una pattuglia di soldati israeliani mimetizzati da arabi com'è accaduto spesso nell'Intifada. I caduti fanno parte di Al Fatah, si tratta di giovani che hanno aderito al piano di Abu Mazen e che si erano dissociati dalla resistenza armata. Un atto che viene letto come un schiaffo al presidente palestinese e un ulteriore sfregio alla sua credibilità .
Hamas proprio a partire dal ruolo che gioca come unica forza che ha il controllo di Gaza, avrebbe dovuto essere più responsabile e fare in modo di risparmiare ogni nuova sofferenza inutile al suo popolo. Nella Striscia sotto assedio da lunghi mesi ormai scarseggia tutto. Mancano i medicinali, il cibo, quella poca acqua che c'è non è potabile, manca il carburante e tutti i generi di prima necessità. Per rappresaglia, l'esercito Israeliano ha distrutto tre anni fa la centrale elettrica mettendo a rischio il funzionamento di tutto, dagli ospedali alle centrali di smaltimento dei rifiuti che ormai dipendono dalle forniture di Israele. Gaza ormai è una grande prigione a cielo aperto. Un grande campo di concentramento controllata «al microscopio», giorno e notte, attraverso satelliti e aerei spia. Ad Israele non sfugge nulla e nessuno, e fa delle punizioni collettive a largo o intenso spettro un uso sistematico, senza che nessuno intervenga o dica nulla. Dov'è l'Europa? E dove l'Italia? Nel silenzio della comunità internazionale i palestinesi - e non solo loro - avvertono una grave complicità. A differenza di quanto avviene qui, in quel mondo non molto lontano, in Medio Oriente, centinaia di milioni di persone vedono in diretta attraverso le tv satellitari non uno «spettacolo» ma una sofferenza ormai fuori dalla soglia della narrabilità. Queste immagini quotidiane, che è certo non aiutano il senso d'equilibrio, parlano invece del silenzio e dell'omertà che circondano questa tragedia. Tantopiù che la ferita sempre aperta della Palestina rappresenta il cuore delle altre crisi internazionali, delle altre guerre e missioni militari che l'Occidente conduce - in Iraq, in Afghanistan, in Libano - dopo l'11 settembre.
Si vuole azzerare ogni possibilità di pace? Perché ieri i missili intelligenti dell'aviazione israeliana hanno colpito la clinica Medical Relief, distruggendone anche l'unica ambulanza. Si tratta di una clinica costruita anche grazie ad una campagna di solidarietà sostenuta da il manifesto e promossa dall'Associazione Gazzella, fondata dalla nostra amica Marina Rossanda e da Giancarlo Lannutti. Due compagni dei quali davvero sentiamo tutto il peso della scomparsa per la loro passione per la pace in Palestina. In questi giorni di campagna elettorale dove la questione della pace e della guerra è incredibilmente scomparsa dai programmi dei grandi come dei piccoli partiti. Eppure anche la tragedia della Palestina come la guerra in generale sono diventati il costante strumento politico nel governo del mondo che abbiamo ereditato. Queste crisi dovrebbero ricordarci quanto sia necessaria una forte affermazione della sinistra. E insieme ricordare alla sinistra che l'impegno contro la guerra non è un lusso o un belletto dei programmi, ma un asse costante e rigoroso. Perché allora non apriamo una sottoscrizione in piena campagna elettorale per ricostruire la clinica Medical Relief e riacquistare l'ambulanza distrutta. Così, almeno, la pace contro la guerra potrebbe tornare ad essere utile anche alla nostra campagna elettorale.
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