sabato 30 agosto 2008

Le morti bianche sono l'unica emergenza sicurezza

L'Adesione di Sinistra Democratica alla "Carovana" promossa da Articolo 21

dichiarazione di Claudio Fava

E’ vero, in Italia esiste un problema di sicurezza. Che però non si affronta né con i militari né prendendo impronte a bambini rom. Sono d’accordo con gli amici e le amiche di Articolo 21 e con quanti hanno promosso la “Carovana per il lavoro sicuro”: quella contro le morti bianche e gli incidenti sul lavoro è la vera emergenza sicurezza. Di più: è un'autentica guerra culturale, sociale e politica. Culturale perché la riduzione del lavoro a pura merce, come accade ormai da almeno vent'anni, considera morti e feriti un'inevitabile contabilità, sociale perché i costi per la collettività - non considerando quelli individuali delle vittime e delle loro famiglie che non sono quantificabili– sono davvero elevati, infine politica perché leggi e provvedimenti sono strumenti indispensabili a combattere questa battaglia.
I provvedimenti del Governo Berlusconi vanno esattamente nella direzione opposta. La defiscalizzazione degli straordinari, anzitutto, non affrontando affatto la questione salariale, costringe lavoratori e lavoratrici a turni massacranti per portare a casa qualche euro in più. E poi il decreto 112, appena approvato con la manovra economica di fine luglio, che aumenta precarietà e insicurezza, a cominciare dalla cancellazione della legge contro i licenziamenti in bianco. Insomma un Paese consapevole delle vere priorità per il proprio futuro non può che fare della dignità del lavoro e quindi della sicurezza del lavoro il proprio impegno fondamentale. Per questa ragione Sinistra Democratica aderisce alla “Carovana” promossa da Articolo 21, e al tempo stesso ritiene che - a partire da questa iniziativa - si debba dare vita ad una grande campagna di mobilitazione che veda tra i protagonisti, oltre ai soggetti della politica e della società civile, anche il mondo dell’informazione senza il quale le speranze di successo sono davvero poche.

giovedì 28 agosto 2008

Un campus per la "decrescita felice"

«Ce n'è abbastanza per i bisogni di tutti, ma non per l'avidità di ciascuno». Una frase di Ghandi che ben riassume la tragedia che ci troviamo a vivere, la cui consapevolezza, fino a qualche anno fa ristretta a una cerchia ridottissima di economisti, accademici e scienziati, si va ogni giorno di più allargando, anche grazie a iniziative come quella del Parco Regionale dei Monti Lucretili - "Sarà per amore o non sarà?" -, consigli su come agire il cambiamento dati dai massimi esperti italiani della decrescita e messi in pratica in un campus-laboratorio fino a domenica 31 agosto. Il cambiamento è inevitabile, grazie alla fine del petrolio e alla drammatica erosione dei beni comuni, come acqua, aria e terra. Bisogna imparare a fronteggiarlo, non come un nemico o un triste ritorno al passato, ma come un'occasione da non perdere per acquisire nuovi occhi, occhi felici, come la decrescita che viene proposta in lavori di gruppo, escursioni guidate, laboratori pratici.

Da decolonizzare, come sottolinea Peter Berg, c'è anche e soprattutto il nostro immaginario: «La nostra generazione è stata allevata con un mito che, nell'ultimo secolo, ha fondato l'immaginario sociale: il mito della crescita». Questa credenza, cui è connessa l'idea di uno sviluppo illimitato, ha portato con sé le parole d'ordine della massimizzazione della produzione, dei consumi e dei profitti fino a consegnarci all'attuale religione del mercato globale. Eppure, di fronte alla percezione crescente dei limiti sociali ed ecologici dello sviluppo, del degrado indotto dai processi di mercificazione della vita, della crescente conflittualità internazionale attorno alle risorse fondamentali, oggi comincia a farsi strada l'idea che per imboccare sentieri veramente alternativi sia necessario proprio rimettere in discussione il mito fondativo. Almeno questa è la scommessa dei bio-campeggiatori. «È possibile oggi decolonizzare il nostro immaginario e provare a pensare una società non improntata a uno sviluppo fine a se stesso. Il rifiuto di indicazioni chiare su come fronteggiare la crisi planetaria è deludente e pericoloso» dicono gli organizzatori degli incontri. Del resto battaglie per l'uso e l'approvvigionamento di energia, limitazioni sull'acqua e altre risorse essenziali, carenza di cibo e aumento della popolazione sono già diventati la base di guerre che mettono a repentaglio approcci ragionevoli, contribuendo a squilibri ecologici sempre più vasti.


«Non si può aspettare oltre per invertire una rotta che ci porta verso la distruzione sicura e imparare a vivere integrandoci con il resto degli abitanti, vegetali o animali di questo pianeta», è allora il punto di partenza dell'esperimento del bio campus. Insomma, la sostenibilità ecologica non può continuare a essere vista come un lusso che possono permettersi solo le nazioni più ricche. Deve trasformarsi in un imperativo universale e anche un automatismo civile. «È un obiettivo essenziale per ogni società umana senza distinzioni di livello economico, localizzazione geografica o cultura», sui Monti Lucretili ne sono convinti.
Certo, imparare a trovare soluzioni a livello dell'intera biosfera può essere una meta troppo lontana da raggiungere per molte persone. Però almeno si può iniziare a capire come diventare ecocompatibili con il sistema di vita locale n el proprio luogo di residenza. Si tratta di obiettivi comprensibili e realistici, anche piccoli sforzi locali possono fare moltissimo a livello planetario.


«Due terzi delle risorse mondiali sono state sperperate, e l'ecosistema planetario non riesce più a metabolizzare le ingiurie che quotidianamente gli vengono fatte», dice il profesor Marco De Riu, uno dei relatori degli incontri. «Oggi che la razza umana vive al di sopra delle proprie possibilità, è tempo di tirare le somme, e il bilancio è drammaticamente in rosso: in anni recenti il flusso delle acque dei fiumi si è drasticamente ridotto, molti si seccano prima di arrivare agli oceani, abbiamo perso il 90% dei predatori degli oceani, il 12% delle specie degli uccelli, il 25% dei mammiferi, il 30% anfibi e la tendenza è in crescita, grazie anche al cambiamento del clima a cui non tutte le specie riescono ad adattarsi. La maggior parte degli eventi nazionali e internazionali dei quali siamo stati testimoni può essere direttamente ricondotta a cause le cui radici sono ecologiche.


Le giornate di Orvinio, dove sono previsti, fra gli altri, oltre all'intervento di Marco De Riu, quelli di Paolo Cacciari, Maurizio Pallante, autore del libro "La decrescita felice" e Raffaele Salinari, vogliono essere un punto di riferimento per conoscere le risposte pratiche - «e gioiose»- di chi ha già fatto scelte di vita diverse e vuole comunicarle a chi avverte il grande disagio di vivere questo tempo ma non sa che cosa fare materialmente per non sentirsi complice della comune follia distruttiva. La natura - dicono al laboratorio itinerante della decrescita, organizzatore dell'evento - non può essere solo un lusso da godere nei week end. Perché non si può mangiare il denaro. Né si può bere il petrolio.


Campodecrescita@gmail.com per informazioni 3382144489

mercoledì 27 agosto 2008

Il governo? Prepara la riduzione dei salari


di Alfiero Grandi*
I dati sulle entrate fiscali dei primi 6 mesi del 2008 rivelano tendenze preoccupanti. Anzitutto è ripresa l’evasione fiscale.
Le minori entrate fiscali derivanti dall’IVA non sono tutte attribuibili alla riduzione dei consumi. I consumi interni sono sicuramente in calo ma non del 7 % come il Governo dichiara per l’IVA del mese di luglio, del resto nei primi 6 mesi del 2008 c’era ancora un aumento dell’IVA del 2,6% e quindi il dato di luglio appare strano. Per di più i prezzi sono in aumento di almeno il 4% e quindi almeno per effetto dell’inflazione l’IVA dovrebbe comunque aumentare almeno un poco. La spiegazione di questa incongruenza o è dovuta a confronti tra periodi non congrui, o è da attribuire a versamenti IVA inferiori al dovuto che non si spiegano con il rallentamento dell’economia e dei consumi. In altre parole è ripresa l’evasione perché l’IVA è un termometro sensibilissimo della lealtà fiscale dei contribuenti. Cresce il divario tra i settori dell’economia e tra i redditi
Naturalmente se le dichiarazioni dell’IVA diminuiscono anche il resto delle dichiarazioni fiscali dei settori dell’economia diminuiscono di conseguenza. Questa è infatti la tendenza dell’IRES e dell’IRAP.
Nei primi 6 mesi del 2008 i versamenti dell’IRES da parte delle imprese sono diminuiti del 15%, pari a meno 2 miliardi e mezzo di euro, mentre l’IRAP è diminuita del 5,9%, pari a 750 milioni di euro.
In totale le imprese nel primo semestre 2008 hanno versato 3 miliardi di euro in meno.
La riduzione del cosiddetto cuneo fiscale/contributivo interviene solo sull’IRAP, mentre la riforma dell’IRES era prevista a saldo zero. Quindi i risultati resi noti dal Ministero dell’Economia sono il risultato di imprese, ecc., che evidentemente hanno interpretato il risultato elettorale come un ritorno all’antico.
Nel 2006 la vittoria del centro sinistra aveva dato una sterzata alle entrate prima ancora dell’approvazione dei provvedimenti per la lotta all’evasione.
La vittoria della destra ha evidentemente dato il segnale opposto e c’è chi ha pensato che fosse arrivato il momento di darsi una calmata nei versamenti fiscali. Il lavoro dell’Amministrazione fiscale continua ma è evidente che il messaggio politico arrivato a settori dell’economia italiana è che si può tornare all’antico vizio dell’evasione.
Cresce il prelievo fiscale sui lavoratori dipendenti e i pensionati.
L’inflazione è una tassa occulta e ingiusta che grava essenzialmente sui redditi fissi e subalterni, ma oggi c’è qualcosa di più.
Le imposte dirette sono aumentate del 4,1% nei primi 6 mesi del 2008 ma l’IRPEF è aumentata del 9,3% e in particolare il prelievo fiscale sui lavoratori dipendenti del settore privato è aumentato del 10,5%, sui dipendenti pubblici del 7,9%. In altre parole la tenuta delle entrate fiscali è essenzialmente sulle spalle dei lavoratori dipendenti e dei pensionati che hanno la trattenuta alla fonte e questo aggrava la crescente divaricazione tra i redditi.
Il prelievo fiscale sui lavoratori dipendenti privati e pubblici è aumentato in 6 mesi di almeno 6 miliardi di euro, ben sopra l’inflazione, quindi il Governo programma impoverimento e divaricazione ulteriori tra i redditi.
In altre parole è in corso anche per via fiscale una seria e pesante diminuzione del potere di acquisto dei lavoratori e questo nel momento in cui occorrerebbe aiutare la ripresa della domanda interna per cercare di compensare, almeno un poco, il rallentamento dell’economia.
La priorità oggi è intervenire a sostegno dei redditi da lavoro dipendente e da pensionati, già in sofferenza da tempo, con sgravi fiscali.
Altri redditi hanno la possibilità di sfuggire al prelievo fiscale, i lavoratori dipendenti no e quindi per alleggerire il peso fiscale su questi redditi occorre ridurre le tasse a loro favore. Sono già disponibili più di 4 miliardi e quindi le risorse per un primo intervento ci sono. Queste risorse sarebbero sufficienti per attuare quanto previsto dalla finanziaria 2008, tuttora in vigore, riducendo il peso fiscale sui lavoratori dipendenti e dando un poco di respiro alla domanda interna.
Il Governo non vuole intervenire e ha rinviato ogni decisione a un futuro imprecisato. Del resto il DPEF prevede che fino al 2011 non ci saranno sgravi e quindi le entrate fiscali aumenteranno grazie al prelievo crescente sui redditi da lavoro e da pensione.Questa scelta sconta un aumento dell’iniquità sociale e rinvia la ripresa economica. Già nel periodo 2001/2006 la destra ha puntato tutte le sue carte sulla speranza della ripresa economica internazionale e sappiamo com’è andata a finire. Perché il Governo non decide interventi a sostegno dell’economia in emergenza, a partire dai lavoratori dipendenti ?
Tremonti ha altre priorità, anche a costo di scontare un rallentamento dell’economia italiana e inevitabili tensioni sociali. Tremonti non può pensare seriamente che il potere d’acquisto dei lavoratori possa essere difeso dalla riduzione fiscale sugli straordinari. Quindi ? Sono rivelatrici le dichiarazioni di Bossi sull’ICI, solo apparentemente disarmoniche, ma che fanno capire che è sul tavolo il problema del finanziamento del federalismo fiscale. Infatti Tremonti sta facendo scorta di risorse e sarebbe una sottovalutazione pensare che lo fa solo perché non vuole dispiacere all’UE.
L’accumulazione di risorse, la cui esistenza viene negata perfino agli altri Ministri, viene fatta in vista dei problemi finanziari che si porranno tra poco per il federalismo fiscale e l’autonomia dei comuni. La Lega condiziona l’appoggio al Governo al federalismo fiscale e per arrivarci occorre rispondere non solo alle richieste delle Regioni del Nord ma anche a quelle del Sud, sempre più in allarme. E’ il contrappasso della vittoria elettorale della destra che è avvenuta in Lombardia ma anche in Sicilia e anche a Roma. Quindi o non si fa nulla, e il Governo rischia di brutto, oppure occorrono ingenti risorse perché il federalismo è destinato a costare caro, pur con tutte le prudenze attuative possibili.
Il Ministro dell’Economia "risparmia" ad ogni costo perchè tenta di mettere il Governo al riparo dalle imboscate della Lega e mette nel conto un ritardo nella ripresa economica e un impoverimento dei lavoratori.
La vita del Governo prima di tutto.

*della Direzione di Sd

Fava: ...il sindaco di Comiso ragiona come un mafioso....




SINDACO DI COMISO
CAMBIA INTITOLAZIONE AEROPORTO A PIO LATORRE

DICHIARAZIONE DELL'ON. CLAUDIO FAVA
Coordinatore Nazionale Sinistra Democratica

"...il sindaco di Comiso ragiona come un mafioso...."

Sottraendo alla propria città la memoria di Pio La Torre, il sindaco di Comiso ragiona come un mafioso.
Lo afferma l'on. Claudio Fava, Coordinatore Nazionale di Sinistra Democratica.
La Torre - continua il leader di SD - morì di mafia anche per le sue battaglie in Sicilia contro l'istallazione dei missili Cruise. Intitolargli, tardivamente, quell'aeroporto era stato un modo per rimediare a troppi anni di silenzio.
La decisione adesso di cancellare il nome di Pio La Torre ha tutta la forza simbolica d'una violenza mafiosa: negare i morti, negare la memoria, parlar d'altro...
Ora ci aspettiamo - conclude l'on. Fava - che anche a Palermo, come suggerì un pò di tempo fa Miccichè, si tolgano i nomi di Falcone e Borsellino dall'Aeroporto di Punta Raisi.

Roma, 27 agosto 2008

mercoledì 20 agosto 2008

I segugi della sicurezza trascurano quella vera

Loris Campetti "il manifesto" 19 agosto

L'Italia ha una classe dirigente ipocrita e miope. Chi governa l'economia e la politica ci assorda con grida di dolore per la mancanza di sicurezza. Nel suo nome si sono militarizzate città, si sono blindati confini e porti; violando i principi costituzionali si separano uomini e donne da altri uomini e donne per razza, per paese, per censo. I sindaci si fanno sceriffi per difendere, ai semafori e nei cassonetti, i «diritti democratici» di una popolazione spinta a vivere in una torre d'avorio, sotto la minaccia di corpi estranei: rom, immigrati, poveracci.
Sicurezza, leggi speciali, cultura d'emergenza. Peccato che la sicurezza che si difende è sempre quella della proprietà, non della persona.
Si vuol difendere la villa del nordest, non chi la abita. Si vuol difendere il benessere assediato dalla povertà spacciata come criminalità. La sicurezza sociale, cioè delle persone, il diritto per milioni di giovani di costruirsi un futuro o dei più anziani di non essere costretti a farsi multare mentre infilano mani e testa nei cassonetti, non ha voce, e sempre meno sponsor. L'Italia è il paese europeo con più addetti alle forze dell'ordine in rapporto al numero di reati, che invece è inferiore o in linea con gli altri paesi dell'Unione. Ma è anche il paese in cui si muore di più sul lavoro, o sulle strade e autostrade.
Il licenziamento di Dante De Angelis, macchinista ferroviere, simbolo della lotta per la sicurezza di chi lavora e di chi viaggia sui treni mette a nudo, più che la ferocia di un nuovo padrone delle ferriere, l'imbroglio nazionale che sta dietro la crociata per la sicurezza.
Non è il nuovo padrone delle ferriere ma l'amministratore delegato delle Ferrovie, quel Mauro Moretti che ha impedito a Dante di prendere la guida dell'Eurostar Roma-Rimini, il giorno di Ferragosto. Non viene dalla scuola dei Chicago boys, ma dal vertice della Cgil. Dice che Dante è stato licenziato perché ha denigrato l'azienda, la compagnia di bandiera delle nostre ferrovie, solo perché chiede più attenzione nella progettazione e nella manutenzione dei treni che si spezzano in due o che si scontrano tra loro. Che ci sia un problema di usura, si chiede e chiede a chi ha la responsabilità del servizio? E chiede più rispetto e diritti per chi lavora nei treni e sulle linee ferroviarie.
Dunque, il problema per Moretti non è la sicurezza degli utenti e dei lavoratori, ma il buon nome dell'azienda che va difeso tacendo le cause degli «incidenti», nascondendoli dove possibile. Perché, fa sapere Moretti, il monopolio delle Fs è messo a rischio dalla liberalizzazione, arrivano pericolosi competitor. Per vincere servono risparmi, ordine, cieca obbedienza, sacrifici umani, omertà. Che muoiano pure i ferrovieri, gli operai della manutenzione, i passeggeri, l'importante è salvare l'onore della compagnia.
Nel paese della ThyssenKrupp, della Umbria Olii, delle Ferrovie, il licenziamento del più impegnato tra i Rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza ha svelato l'imbroglio, e noi ci sentiremo più sicuri solo quando il delegato macchinista De Angelis riprenderà la guida dell'Eurostar.

venerdì 15 agosto 2008

UN PROGETTO CHE RIUNISCA

di Rossana Rossanda

Siamo a uno dei punti più bassi della nostra storia: Alberto Asor Rosa ha ragione. Siamo a una crisi intellettuale e morale degli italiani - metà dei quali hanno votato per la terza volta una banda di affaristi ex fascisti e separatisti e l'altra metà si è divisa. Occorre dunque, scrive Asor, un soggetto politico nuovo, pulito e con un'idea di nazione che guardi a sinistra e non insegua fisime comuniste. Nel documento del Crs, Mario Tronti diceva qualcosa di analogo precisando che deve essere una grande forza popolare.
Non che mi piaccia essere una fisima, ma pazienza. Però, allo stato delle cose, non vedo dove questa forza politica sia. Veltroni direbbe: ma come, quella forza sono io, e il Pd. Abbiamo il 34 per cento dei voti, non siamo una combriccola di affaristi, abbiamo un'ipotesi riformista e una moderna icona morale in Robert Kennedy, abbiamo chiuso con ogni tipo di comunismo. Già, solo che l'opposizione a Berlusconi il Partito democratico non la sta facendo. Solo che raramente si è veduto un partito di sinistra così monocratico e poco popolare, se per democratico e popolare si intende un minimo di democrazia partecipata. Solo che, per dirla tutta, che cosa sia il Pd non si è capito ancora: gli avevano dato vita la Margherita e i Ds, ma della Margherita mancano ormai Prodi e Parisi, e Rosi Bindi sembra tenere più per coerenza che per persuasione. Neanche i Ds sembrano un blocco: D'Alema giura per il Partito democratico ma la sua fondazione ha accenti alquanto diversi da quelli di Veltroni. Chi può giurare che al primo congresso questa chimera diventi un animale affidabile?
Fuori del Pd le cose non vanno meglio. La frettolosa coalizione della sinistra Arcobaleno è stata addirittura espulsa dal Parlamento, il suo proprio elettorato avendole giurato vendetta per essersi fatta trascinare nell'avventura di governo. La Sinistra democratica di Mussi ha perduto qualche foglia invece che guadagnarne. I Verdi lo stesso. Rifondazione si è spaccata in due tronconi che neppure si parlano: la maggioranza di Ferrero punta tutto sul conflitto sociale dal basso, la minoranza di Niki Vendola su una raccolta di aree radicali fra le quali quella comunista potrebbe essere una cultura fra le altre, dell'ambientalismo che è più vasto dei Verdi, del femminismo, dei movimenti.
Non vedo perciò, allo stato dei fatti, un soggetto in grado di fare fronte alla slavina di destra. Vedo una quantità di orfani che vorrebbero questo soggetto ma sui quali da diversi anni passano grandinate che li disperdono vieppiù. Ma qual è la causa delle grandinate?

Sta soltanto nella risolutezza e la sfacciataggine di Berlusconi? Non credo. La banda che ci governa ripete esattamente forme, metodi e misure di tutti gli esecutivi europei dagli anni '80: la potente spinta alla disuguaglianza, all'arricchimento di pochi, all'impoverimento dei più, cioè l'ondata neoliberista che ha seguito i «trent'anni gloriosi». È una ripresa della linea che era già stata sconfitta in Europa e negli Usa dopo gli anni '20.
Ma ora, osserva Asor, essa è già arrivata a un punto morto. Vero, ma non per la forza della sinistra. È nei guai con se stessa. Dal liberismo si oscilla al protezionismo, dal mercato unico alle guerre commerciali simili a quelle del XIXmo secolo - ecco dove stiamo ritornando. Gli Stati uniti hanno l'egemonia militare ma non più economica; questa gli è contestata dalla Cina e dall'India in poderosa crescita. E l'arroganza di Bush ha infilato la sua supremazia militare nella trappola del Medio oriente, mentre l'Europa è insabbiata in una moneta relativamente forte, in un'economia debolissima e in un'iniziativa politica pari a zero.
Questo è il quadro cui siamo davanti. Crediamo davvero che si potrà batterlo con i conflitti sociali dal basso o con l'adunata dei renitenti al veltronismo? Non lo penso. Se vogliamo non solo battere Berlusconi ma dirci dove l'Italia può andare, su quali basi si può ricostruirne una fisionomia intellettuale e morale bisognerà pur passare dalle proteste divise e poco comunicanti a un progetto capace di credibilità, persuasione e mobilitazione. Per questo non serve il Partito democratico, che del liberismo condivide gli orizzonti, né bastano le due anime di Rifondazione: la vastità dell'impegno implica una raccolta di forze che vada molto oltre la sinistra Arcobaleno e la natura dell'impresa implica una dimensione del conflitto che non si risolve dal basso. Del resto, qual è il basso della globalizzazione?
E qui torna la mia fissazione: se siamo, come credo, una tessera di una tendenza mondiale, prima di tutto ad essa dobbiamo dare un nome e di essa definire la mappa. Il nome è il capitalismo dall'ultimo quarto del Novecento agli inizi del Duemila. La mappa è quella dell'intero pianeta. Finiamo di balbettare che tutto è cambiato e perciò niente si può dire, e cominciamo a precisare che cosa questo capitalismo è diventato. Non ci sono più vittorie puramente locali contro di esso. Come i dipendenti di una fabbrica non possono battersi da soli contro la delocalizzazione dell'azienda così un paese europeo non può battersi da solo contro la recessione, quali che siano le pensate protezioniste di Tremonti. Ma quando alla crisi delle classi dirigenti si somma il caos della sinistra il rischio è di essere trascinati via tutti.
Può questo rischio trasformarsi in occasione? Questa è a mio avviso la domanda vera. Credo che sì, per l'ampiezza dei soggetti coinvolti e per la profondità non solo materiale e pecuniaria del disastro ma appunto intellettuale e morale - non è per caso che all'apatia culturale dell'Occidente ormai non si oppongano che nazionalismi o fondamentalismi.
Ma nel medio termine temo che non si possa dare una parola d'ordine rivoluzionaria, almeno nel senso che abbiamo dato a questa parola fino a poco tempo fa: l'esito del '68 dimostra quanto eravamo già arretrati e quel che è seguito all'89 impedisce anche ai più ostinati di sognare una riedizione dei socialismi reali. Ma la sofferenza sociale e l'ampiezza delle ineguaglianze sono diventate così forti da rendere fragile la stessa tenuta e coesione di ogni singolo paese. Non è con le riforme istituzionali che si può aggiustare la baracca. Potrebbe essere aggiustata, per difficile che sia, con una inversione di tendenza: un intervento che restituisca il primato alla politica piuttosto che ai meccanismi dell'economia, che dia luogo a linee di sviluppo, incluso uno «sviluppo di decrescita», che ridistribuisca la ricchezza a sfavore delle zone forti e a favore di quelle deboli, che decida il taglio dei privilegi sociali, il rilancio su un piano mondiale dei mercati interni (l'impossibilità di procedere del Wto parla chiaro).
Non sarà un'operazione indolore, ma può non essere impossibile. Chi non si ritroverebbe in questo progetto? Soltanto i boss delle stock option d'oro. Non sarà la rivoluzione, ma oggi come oggi sarebbe certamente una rivoluzione culturale.

da "il manifesto" 10 agosto

giovedì 14 agosto 2008

Ad agosto in un Cpa


Cosa potrebbe essere l’Italia, cosi come ci appare geograficamente, se non una terra che accoglie? Bagnata su tre lati dal mare, penisola di antica storia, terra costruita con le sedimentazioni culturali dei popoli che l’hanno vissuta ed interpretata, da sempre patria di migrazioni, emigranti e immigrati. E così la Puglia, punta estrema di un territorio che si inarca verso il nord, territorio di raccordo tra universi che qui vi si incrociano. Qualcuno vuole convincersi e convincerci che il progresso, la “civiltà” l’abbia cambiata e debba continuare a farlo, che è ormai impossibile e inaccettabile per la Puglia, come per la Sicilia, come per tutti gli altri terreni costieri, continuare ad accettare ed accogliere nuova gente. Bisogna fermare i continui flussi di persone straniere che ogni giorno approdano sulle nostre coste in cerca non di una vita migliore, ma bensì in molti casi semplicemente di una vita. Allora la politica come le amministrazione, come la società si chiede come cercare di cambiare, estirpare la radice storico-culturale di una terra da sempre avvezza a contenere in se mille sapori, mille colori, mille storie? E’ ormai in campo un drammatico processo culturale che nella mente di chi si dichiara cittadino Italiano, cittadino pugliese si sta palesando come un diritto all’arroganza, l’arroganza di dover difendere un territorio che gli spetterebbe di diritto senza che nessuno gli abbia mai spiegato cosa sia il diritto, l’arroganza di chi pensa di poter guardare l’altro con superiorità e peggio ancora di poter decidere del suo destino.
A pochi Km dal centro del capoluogo pugliese, sorge il CPA(centro prima accoglienza), da qualche mese ristrutturato, rimodernato, reso più consono o solo meno avvilente. Un decreto dello scorso governo Prodi ne ha cambiato i connotati, da semplice “rulottopoli” a pseudo villaggio container, dotato però di maxi schermi dove le centinaia di immigrati, tenuti a debita distanza tra loro, possono seguire le gare olimpioniche tifando- con moderazione- per la loro squadra nazionale.
Qualche giorno fa, poco prima elle vacanze, chissà se nei CPA si fa vacanza, alcuni esponenti di Sinistra Democratica della Puglia, tra cui l’ex deputata Alba Sasso, il consigliere comunale di bari Sd Marco Bronzini e il segretario cittadino Sd Leo Palmisano, con esponenti del PRC hanno fatto visita al Campo a fronte di una forte protesta degli “ospiti” contro Mantovano che ha scatenato l’attenzione delle rappresentanze istituzionali del territorio, che in pompa magna sono accorse sul posto ad assicurarsi non che le motivazioni della protesta fossero legittime o meno, ma che la voce non fosse troppo alta. Il problema però va aldilà delle procedure amministrative che vanno a rilento nel rilascio delle accettazioni delle domande di asilo.
Il reale sconcerto riguarda le politiche di integrazione sociale per l’immigrazione.” Scarsissima è l’attenzione riservata dalle istituzioni a queste persone- commenta Alba sasso- bisogna capire che dietro gli annunci dei telegiornali sui continui sbarchi ci sono storie di uomini, donne, bambini e famiglie che magari arrivano nel nostro paese perché una loro storia non la hanno o forse gli è stata strappata. Non è certo un container tutto quello che un paese civile può offrire. Servono politiche sociali di integrazione che si occupino della vita della gente per bene, anche se immigrata o richiedente asilo.”
Il Segretario di Bari Sd Leo Palmisano, sociologo, che da tempo si occupa di politiche sociali di migrazione continua: “ Il problema non riguarda la permanenza degli extracomunitari nel CPA, ma è di più ampio respiro. Se e quando queste persone ottengono il permesso di uscire dal centro si trovano di fronte una società e una città ostile, completamente militarizzata che guarda loro con sospetto e diffidenza, creando un clima di insicurezza e instabilità. Ad oggi per tutti loro non ci sono prospettive di integrazione cosi come di facciata è l’accoglienza che viene gli viene riservata nel centro di accoglienza che altro non è che un’istituzione totale. Dobbiamo mettere in piedi innanzitutto nuovi processi culturali in primis tra i nostri connazionali, volti al rispetto della diversità e alla percezione che il mondo oggi si sta ripopolando con nuovi paradigmi, che non sono certo le razze e le etnie”.
Sinistra Democratica si batterà dove e come potrà sicuramente su questi fronti.

martedì 12 agosto 2008

è morto Mahmoud Darwish



Potete legarmi mani e piedi
Togliermi il quaderno e le sigarette
Riempirmi la bocca di terra
La poesia e’ sangue del mio cuore vivo
sale del mio pane luce nei miei occhi.
Sara’ scritta con le unghie lo sguardo e il ferro
la cantero’ nella cella della mia prigione
al bagno
nella stalla
sotto la sferza
tra I ceppi
nello spasimo delle catene.
Ho dentro di me un milione d’usignoli
Per cantare la mia canzone di lotta


Mahmoud Darwish

TITTI DI SALVO: DATI INFLAZIONE - AUMENTO TARIFFE TIM

L'AUMENTO DELLE TARIFFE TIM E' UN PUGNO NELLO STOMACO DELLE FAMIGLIE IN DIFFICOLTA'.... MENTRE I DATI ISTAT SONO PREOCCUPANTI...
ALLORA 2 DOMANDE A TREMONTI...
L'aumento delle tariffe della Tim è un pugno allo stomaco per le famiglie in difficoltà. Che la Tim scelga di farlo sotto i riflettori spenti del caldo di agosto indigna e aggiunge beffa al danno.
Lo afferma Titti Di Salvo, della Segreteria Nazionale di Sinistra Democratica.
Sono d'obbligo - prosegue l'ex capogruppo Sd a Montecitorio - allora 2 domande al ministro dell'Economia: lui che si è tanto vantato di essere il fustigatore dei poteri forti cosa ha da dire?
E ancora di fronte all'aumento del 6,1% della spesa di tutti i giorni, come registra oggi l'Istat, con quale faccia Tremonti ha fatto approvare una manovra economica che fissa il tasso di inflazione all'1,7%, riducendo così salari e pensioni.
La verità - conclude l'esponente di SD - è che il governo è un Robin Hood alla rovescia: taglia ai più deboli e fa la voce grossa con i diritti dei lavoratori. Ma ai poteri forti strizza l'occhio.
Roma, 11 agosto 2008

giovedì 7 agosto 2008

Militari per la sicurezza. Sul lavoro

Lo dice il Censis: è di gran lunga il Paese europeo dove si muore di più sul lavoro. Sono 918 casi in Italia in un anno. Un morto ogni 23 mila lavoratori, a fronte di 678 in Germania (un morto ogni 53 mila lavoratori), 662 in Spagna (un morto ogni 24 mila lavoratori), 593 in Francia (un morto ogni 50 mila lavoratori).
Senza contare che in Italia sono decine di migliaia gli incidenti sul lavoro non denunciati. E che sono decine, o forse più, i morti sul lavoro fatti passare per incidenti stradali o incidenti domestici.

Le città italiane, sempre secondo il Censis, sono tra le più sicure d'Europa.
Eppure il ministro della Difesa Ignazio La Russa ha deciso di utilizzare i militari per pattugliare le strade.

Noi, cittadini italiani stufi di questa "strage bianca", chiediamo a Lei, ministro della Difesa, di spostare le risorse umane ed economiche impiegate per pattugliare le città perché vigilino sui cantieri e sui luoghi di lavoro. I numeri degli incidenti sul lavoro, signor Ministro,sono quelli di una guerra. Mandi, per favore, i nostri militari in una vera missione di pace.

http://www.articolo21.info/appelli_form.php?id=130

P.S Per aderire all'appello, bisogna andare sul sito di Articolo21, cliccando sul link, e mettere nome, cognome, qualifica, città, email, e cliccare invio.

mercoledì 6 agosto 2008

News da www.sinistra-democratica.it

LEONI: SI MUORE DI PIU' PER INCIDENTI SUL LAVORO O SULLE STRADE CHE PER OMICIDIO
INDAGINE CENSIS
SI MUORE DI PIU' PER INCIDENTI SUL LAVORO O SULLE STRADE CHE PER OMICIDIO
"...invece di impaurire gli italiani, non si taglino risorse alle forze dell'ordine e se proprio si vogliono usare i militari...li mandino nei cantieri delle stragi bianche..."
L'indagine odierna del Censis non ci sorprende affatto. Come d'altronde è emerso da tutte le statistiche rese note fino ad oggi, si dimostra ancora una volta che l'allarme sicurezza è del tutto ingiustificato ed è soltanto un'argomento che viene agitato strumentalmente per impaurire l'opinione pubblica al solo scopo di raccattare i voti in campagna elettorale.
Lo afferma Carlo Leoni, della Segreteria Nazionale di Sinistra Democratica, commentando l'indagine odierna del Censis.
Sempre quei dati - continua l'ex Vice Presidente della Camera - ci dicono ancora una volta che la vera emergenza sono i morti sul lavoro e le stragi sulle strade italiane, che pongono vergognosamente il nostro Paese negli ultimi posti in Europa.
Non sarebbe male - conclude l'esponente di SD - se gli attuali governanti invece dei proclami e degli allarmi mediatici si impegnassero a non tagliare le risorse e i mezzi alle forze dell'ordine impegnate sulle strade italiane e se proprio si vogliono impegnare i militari, come stanno facendo in questi giorni, allora li si mandino nei cantieri e nei posti di lavoro a controllare....

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Incontro Fava-Ferrero: SI LAVORA A MOBILITAZIONE
Un lavoro comune per costruire una
piattaforma tra tutti i soggetti della sinistra, sia i partiti
che le associazioni, con l'obiettivo di creare una grande
mobilitazione, molto probabilmente una manifestazione, contro le
politiche del governo Berlusconi. A discuterne per piu' di
un'ora sono stati il segretario di Rifondazione Comunista Paolo
Ferrero ed il coordinatore di Sd Claudio Fava, in un faccia a
faccia alla Camera dei Deputati.
Il leader del Prc aveva incontrato, sempre nella mattinata, il
segretario del Pd Walter Veltroni. Gli incontri tra il neo
leader del Prc con i diversi soggetti della sinistra erano gia'
avviati da qualche giorno tanto che Ferrero ha gia' incontrato
Grazia Francescato dei Verdi, ha sentito al telefono Oliviero
Diliberto ed in settimana incontrera' anche i partiti a sinistra
del Prc:S inistra Critica di Salvatore Cannavo', e Marco
Ferrando del Pcl
''Abbiamo discusso - spiega Ferrero - la possibilita' di
costruire una grande manifestazione che coinvolga tutta la
sinistra. Questo e' solo il primo di una serie di incontri''.
Il progetto avra' tempi diversi rispetto alla manifestazione
del Pd in programma per il 25 ottobre: ''Lavoriamo per farla
prima - sottolinea il leader del Prc - altrimenti diventa solo
una manifestazione di commento, mentre la manovra economica
incide sul piano sociale''.
Lo spirito con cui verra' convocata la manifestazione, osserva
Claudio Fava ''e' inclusivo e non esclusivo'' e poi aggiunge
''abbiamo bisogno di una mobilitazione che si faccia carico
della complessita' dei problemi''.
Parlando della manifestazione del Pd e dell'ipotesi di
confluire su un'unica piattaforma Fava spiega: ''Dobbiamo
mettere in campo un'opposizione di tutta la sinistra. La
manifestazione del 25 ottobre e' stata organizzata dal Pd e li'
ci sono 'padroni di casa' ed 'ospiti', mentre serve una cosa che
coinvolga tutta la sinistra''.
''Dobbiamo renderci contro - prosegue
Claudio Fava - che da parte del governo c'e' uno
stravolgimento della Costituzione''.
Per Ferrero, dunque, ''il problema e' costruire un'opposizione
di sinistra che tenga insieme l'opposizione sociale al governo,
le questioni ambientali e diritti civili''.
Il segretario di Rifondazione non nasconde le distanze con il
leader del Partito Democratico: '' Tra Veltroni e Fava - dice -
sono molto piu' vicino al secondo''. L'ipotesi dunque di
arrivare ad un'unica mobilitazione di tutta la sinistra appare
impossibile: ''Sia io che Veltroni - sottolinea il segretario
del Prc - sappiamo che non si puo' mettere insieme un
piattaforma unitaria, non siamo arrivati ad una disponibilita'
su questo punto''.
Il coordinatore di Sd insiste dunque su ''un cambio di
metodo'' e sulla costruzione di una manifestazione in cui ''non
ci siano ospiti e padroni di casa''.
Il problema,aggiunge ancora il leader del Prc, e'
''qualitativo e cioe' che tipo di opposizione si fa al governo
ma anche alle politiche di Confindustria che e' dietro
determinate scelte. Non basta dire - sottolinea - che si e'
contro il governo Berlusconi. Confindustria, la Bce ed il
governo spingono verso una direzione e proprio perche' c'e una
crisi economica e' giusto costruire un'opposizione sociale''.
L'incontro tra il coordinatore di Sd e il segretario di
Rifondazione pero' non vuol dire la messa in cantiere di una
nuova Sinistra Arcobaleno: ''La sinistra - spiega Fava - si e'
presa un breve ma inteso momento di silenzio, crediamo che sia
arrivato il momento di tornare visibili''.
E poi, precisa Fava ''rimettere in campo la sinistra non e' in
contrapposizione con il progetto della costituente''.
Ferrero ribadisce la sua contrarieta' alla costituente della
sinistra ma aggiunge: ''Noi abbiamo detto che l'unita' della
sinistra parte dal fare le cose. Abbiamo criticato l'unita' solo
degli stati maggiori''.

martedì 5 agosto 2008

i giovani di SD a Carpentras

La costruzione del futuro parte anche da Carpentras

Dal 25 al 31 luglio si è svolto a Carpentras (Francia) il Summer Camp 2008 dell'ECOSY (European Community Organisation of Socialist Youth), l'annuale campeggio dei giovani del PSE: un grande appuntamento politico e aggregativo al quale quest'anno hanno partecipato circa 2000 ragazze e ragazzi in rappresentanza di oltre 70 organizzazioni e associazioni giovanili socialiste, socialdemocratiche e di sinistra attive in tutta Europa. Tra loro anche noi, le ragazze e i ragazzi di Sinistra Democratica, che numerosi abbiamo partecipato all'appuntamento promosso dall'ECOSY, prendendo parte al dibattito politico e culturale che oggi attraversa i giovani socialisti europei, relativamente al rinnovamento e all'evoluzione della sinistra europea in tutte le sue declinazioni.
Crediamo infatti che solo a partire da una critica - anche radicale – del mondo e della società capitaliste, una sinistra che - come ha ricordato anche il leader del PS francese Francois Hollande in apertura del meeting europeo - non rinunci alla sfida del governo e a un profilo profondamente moderno anche nelle forme e nei linguaggi del "fare politica", possa sviluppare un progetto di cambiamento capace di rispondere ai sogni, alle aspettative, ai bisogni delle giovani generazioni, aprendo spazi di libertà e contrastando vecchie e nuove limitazioni della dignità umana.
Viviamo in mondo – e una società – in cui il nuovo capitalismo (che ha avuto in questi anni fin troppi esegeti, non solo a destra) ha fatto si che il divario tra paesi e tra popoli – contro ogni aspettativa teorica e promessa politica di convergenza – negli ultimi trent'anni sia piu' che raddoppiato: oggi il 20% degli individui che vive nei paesi a reddito piu' elevato ha raggiunto l'86% del prodotto interno lordo mondiale e i paesi OCSE – con meno del 19% della popolazione mondiale – controllano il 71% del commercio mondiale di beni e servizi. Se dietro a questi dati, queste statistiche – tratte dagli ultimi programmi di sviluppo dell'ONU –si nascondono realtà tragiche e complesse, celate molto spesso dall'uso neutrale del termine globalizzazione, è altrettanto vero che essi non ci parlano solo dei tanti Sud del pianeta ma anche drammaticamente di noi, delle periferie europee, delle periferie delle nostre metropoli come delle nostre apparentemente tranquille città di provincia. Le periferie, quelle fisiche e quelle sociali, che attraversano le città, i quartieri, le scuole, i posti di lavoro, quelle periferie immateriali che ci parlano quotidianamente di un'Italia in cui ancora oggi si muore di lavoro ma anche di malattia, di sopraffazione, di sfruttamento, di povertà.
Ma questi dati possono diventare – e in una certa misura lo sono già – parte di un pensiero nuovo, dove l'interrogativo sulla qualità dello sviluppo e la redistribuzione delle risorse fa muovere le coscienze e diventa - soprattutto tra le giovani generazioni - una vera e propria domanda di senso, rispetto alla quale diventa per noi urgente capire se esiste lo spazio per una risposta "di sinistra": l'opzione della qualità sociale rispetto alle teorie della crescita indiscriminata, l'accettazione dell'economia di mercato ma non della società di mercato, la centralità del merito e del sapere e della conoscenza come motore di sviluppo e coesione sociale, il primato del benessere collettivo sul consumismo privato possono essere coordinate utili a definire un nuovo pensiero per una nuova sinistra, alternativo sia a chi ripropone stancamente soluzioni di tipo keynesiano sia a chi propone una logica di subalternità al mercato e al pensiero unico neoliberista.
Questo nostro sentire, questo nostro pensiero radicale – a fronte di una sinistra chiamata oggi nel nostro Paese a ripensare e a ridefinire i termini della sua funzione storica – abbiamo dunque cercato di farlo vivere anche fuori dai nostri confini, sviluppandone all'ECOSY Summer Camp l'elaborazione e il progetto in un confronto con le ragazze e i ragazzi che come noi ogni giorno - in Spagna come nei paesi baltici, in Germania come nei paesi balcanici – lottano per una diversa idea di società, in Europa e non solo.
Un impegno questo che non ci spaventa perché noi lo conosciamo bene, per averlo condiviso in questi ultimi anni – attraverso molteplici esperienze politiche e sociali, studentesche e universitarie, generazionali e non – con una fetta importante della nostra generazione, e cioè con i milioni di ragazze e ragazzi reali con cui abbiamo sognato e a volte anche costruito un mondo piu' giusto, in cui il destino degli uomini non fosse asservito e piegato alla logica del mercato e del profitto, in cui la guerra non fosse l'origine e la condizione permanente di un nuovo disordine mondiale, in cui la democrazia non fosse patrimonio e privilegio di una minoranza dell'umanità, in cui gli uomini e le donne non fossero merce ma cittadini.
Una generazione, di cui noi siamo parte, che ha via via trovato nei Forum Sociali di Genova, Firenze, Parigi, Londra e Atene la propria casa, nelle grandi mobilitazioni contro la guerra in Iraq la propria piazza e nelle Marce per la Pace Perugia-Assisi la propria strada.
Oggi – proprio nel momento in cui tanti vorrebbero ridurre e relegare la presenza della sinistra nel nostro Paese a testimonianza – abbiamo una responsabilità in piu', quella di far vivere con ancor piu' forza quelle lotte in cui si trovano tante risposte concrete e possibili a quella domanda di senso che attraversa la nostra generazione.
Dobbiamo dunque avere l'ambizione di far vivere queste aspettative, questi bisogni, questo nostro pensiero nuovo dentro il difficile processo costituente di una sinistra nuova – perché nuovi devono esserne i caratteri politici e il respiro ideale - ma anche e soprattutto a far vivere quello stesso processo laddove quelle aspettative, quei bisogni e quel pensiero si vanno formando e cioè nelle scuole, nelle università, negli spazi sociali e di aggregazione, nell'eterogeneo mondo dell'associazionismo, nei movimenti… in una parola, nel mondo giovanile.
Con la consapevolezza di dover realizzare qualcosa di inedito, con tutte le difficoltà che questo comporterà, a maggior ragione in un quadro politico e sociale complesso e problematico come quello che caratterizza oggi il nostro Paese, compreso il disincanto e il distacco proprio dalla politica e dall'impegno politico che oggi attraversa e caratterizza gran parte dei nostri coetanei.
Con la consapevolezza anche di non poter pensare la nostra elaborazione e azione politiche in solitudine, ma al contrario di doverle proiettare in un processo ampio e inclusivo, segnato da una profonda orizzontalità delle dinamiche partecipative e da una costante contaminazione politica e culturale con i tanti e plurali soggetti, associazioni, reti, network giovanili, politici, sociali, studenteschi e universitari con cui già oggi condividiamo un'idea comune di impegno politico e civile, un impegno che vive di speranze, di bisogni, di passioni, di idee, un impegno attraverso il quale anche le storie individuali assumono un senso diverso e maggiore nel loro farsi storia collettiva.
"Alle difficoltà reali che il Socialismo non è riuscito a superare" – diceva Norberto Bobbio – "non si sfugge fantasticando di una terza via, ma rafforzando le organizzazioni che lo innervano".
Noi non crediamo alla "fine della Storia", ma al contrario pensiamo ci sia ancora un fine della Storia, un fine che oggi debba essere proiettato nel futuro, chiamando nuovi protagonisti, nuove generazioni, consentendogli di partecipare alla costruzione di questo futuro, con le loro intelligenze, con le loro passioni, con i loro spazi, con le loro responsabilità, con la loro autonomia.
Se no ora, quando?

lunedì 4 agosto 2008

La politica s’inchina a sua maestà la menzogna

di Michele Prospero - SD Nazionale

Cosa tiene in piedi le società odierne nelle quali aumentano a vista d’occhio le differenze di potere e di ricchezza e però nessun accenno compare verso un rifiuto collettivo delle nuove forme di dominio? Come mai in un sistema sociale che sforna in continuazione inedite esclusioni e cronicizza la flessibile precarietà dei lavori regna ancora più piatta la sovrastante potenza ordinatrice del capitale? Cosa impedisce la rivolta degli attori sociali in un mondo in cui le vacche del nord guadagnano con i sussidi loro erogati il doppio dei salari dei lavoratori del sud? Queste domande sono al centro del libro di Vladimiro Giacché, La fabbrica del falso, che riflette all’interno di una serrata critica dell’ideologia contemporanea coniugando con finezza una cruda e molto informata descrizione dei processi reali e una sottile ironia.

L’autore, con alle spalle un dottorato di filosofia alla Normale, e un presente nei ruoli direttivi del mondo dell’economia e della finanza, dinanzi ai dilemmi di oggi suggerisce una risposta ai limiti della provocazione teorica. Il nucleo del suo ragionamento è questo: oggi mancano soggetti sociali combattivi perché il grande protagonista del discorso pubblico è diventata la fabbrica del falso. La menzogna con i suoi meccanismi linguistici di occultamento del dato empirico si afferma in ogni ambito del vissuto neutralizzando così i processi reali sempre più relegati su uno sfondo lontano e invisibile. Le parole chiave del lessico contemporaneo rivelano questa perdita di referenzialità che porta alla costruzione di eterei fantasmi che rendono impalpabili gli interessi sociali. Ci sono parole inventate solo per nascondere, altre invece servono per deviare e occultare.

Nel mondo attuale trionfa un aspro e selettivo sistema sociale che però preferisce rimuovere il suo ingombrante e ancora sospetto nome, capitalismo globale, per assumerne uno più mite e in apparenza gradevole, quello di economia di mercato. Il linguaggio tecnico con i suoi eufemismi leggeri contribuisce a fare del mercato proteso alla massimizzazione del profitto una cornice naturale e del tutto astorica. Per esemplificare questa torsione del linguaggio in chiave ideologica, Giacché conta che in un solo giorno la parola mercato compare ben 82 volte sul maggiore quotidiano economico. Persino il Trattato europeo parla per ben 78 volte di mercato, per 27 volte compare in esso la parola concorrenza e una sola volta esce il termine residuale occupazione. E le parole dominanti segnalano un più profondo cambiamento avvenuto nei rapporti sociali. I media rafforzano le potenze egemoni quando diffondono all’unisono una autentica metafisica dell’economia che attribuisce al mercato una ragione assoluta e contorce il senso del reale quando parla con trasporto di «restituzione» al mercato di imprese che però sono sempre state in mani pubbliche.

Oltre a parole che servono per addolcire o per sviare, la fabbrica del falso sforna parole che servono solo per stigmatizzare, per colpire un nemico immaginario per mettere all’erta altri più insidiosi. Giacché rammenta, a questo proposito, una risoluzione del 2006 con la quale il parlamento europeo invita a respingere l’ideologia comunista vista come in sé repressiva. Non se la passano bene al setaccio della repressione linguistica imperante neanche classici come Goethe, Kafka, Dostojevski che sono stati cancellati dai programmi scolastici polacchi perché giudicati immorali, nichilisti, e persino criminali. Il linguaggio serve anche a coniare parole spauracchio e per questo nella repubblica ceca è stata messa fuori legge la gioventù comunista perché nei suoi documenti ufficiali parla ancora di lotta di classe, mentre la costituzione vieta persino l’uso dell’espressione desueta e ormai criminogena. Con locuzioni devianti, con simboli ingannevoli viene coperto il crudo dominio postmoderno che Giacché rende bene con queste cifre: l’1 per cento detiene il 40 per cento del patrimonio finanziario e immobiliare del mondo, il 50 per cento delle popolazione accede solo all’1 per cento della ricchezza planetaria. Inoltre tra i 100 principali soggetti economici mondiali 51 sono imprese, 49 sono i paesi. Su queste basi materiali di dominio, lavora poi un immaginario leggiadro che nega la visibilità mediatica del conflitto e si rifugia in una neolingua del mercato che si autonomizza dalla politica.

La fenomenologia della menzogna prescrive come sua regola aurea che la visibilità stessa del disagio sociale vada sempre rimossa. Giacché ricorda che ad Atene, per i giochi olimpici del 2004, furono deportati 11 mila senzatetto. Negare la tangibilità delle contraddizioni della metropoli è un imperativo supremo per scacciare per sempre i problemi sociali dalla sfera pubblica. Per questo oggi nelle città si vieta l’accattonaggio e il sindaco si veste da sceriffo. In una società della merce, la vista del disagio estremo crea imbarazzo nei consumatori. E perché mai turbare i sensi esteticamente esigenti del consumatore finale con scene imbarazzanti di quotidiana povertà? Per gli ultimi basta la compassione, e la carità può prendere il posto della solidarietà pubblica. Importante è che nessuno pensi di mutare le condizioni sociali di esistenza, o prospetti addirittura strategie per i diritti. Vengono per questo progettate forme di esplicito depistaggio per inculcare in chiunque la paralizzante percezione di vivere insicuri. Lo Stato sociale viene così superato dallo Stato penale che deve inventarsi emergenze e nemici alle porte. Giacché rammenta che sotto Blair non solo si fece ricorso alla schedatura del dna, ma vennero impiantate 4,2 milioni di telecamere spia e inventati 3023 nuovi reati.

Per favorire l’ingresso nello Stato penale emergenziale, la menzogna più grande che viene fabbricata riguarda il lavoro. La sua sconfitta deve essere irreparabile e duratura. Le cifre al riguardo sono quelle che Giacché riporta. Trent’anni fa l’85 per cento della popolazione attiva aveva un lavoro stabile. Nel 2010 un impiego sicuro e protetto toccherà ad appena il 25 per cento. Il lavoro nelle sue retribuzioni non supera spesso la soglia di povertà. Già oggi 3 milioni di lavoratori percepiscono meno di 800 euro al mese e altri 3 milioni sono al di sotto dei mille euro. Esiste una povertà strutturale che nasce dal lavoro, non dalla esclusione dei derelitti. Eppure ciò che la grande officina del falso nasconde è proprio la ragione stessa del conflitto sociale per i diritti e per il salario migliore. In una società che rende ognuno un uomo precario, che può essere acquistato con decine di modalità contrattuali, sembrano sfumare le classi e con esse le ragioni della mobilitazione collettiva. Spesso si riscontra il paradosso, una vera forma di scissione la chiama Giacché, per cui il lavoratore, conferendo i soldi per la sua pensione ad un fondo pensione, si tramuta in investitore che potrebbe, per la sua stessa azienda, decidere delocalizzazioni, licenziamenti. In questi casi - conclude Giacché - non solo il lavoro non pagato origina il plusvalore ma è «il salario differito a trasformarsi immediatamente in capitale».

La immensa fabbrica del falso contribuisce a occultare il dominio reale facendo sì che una grande quantità di soggetti, da ritenersi senz’altro oggettivamente dei proletari postmoderni per reddito e condizione occupazionale, soggettivamente si sentano tutt’altro altro e rifiutino con sdegno ogni identificazione in termini di classe sociale. Interviene qui il miracolo del consumo che, in virtù di una gigantesca macchina mondiale adibita alla produzione illimitata dei desideri, rende tutti cacciatori instancabili di tendenze, sedotti dai messaggi della ricchezza a portata di mano, grazie a bancomat e carte di credito. Quando tutti inseguono la pubblicità per cercare di somigliare ai suoi modelli di consumo, declina ogni responsabilità civica. Compare così una democrazia sfregiata che perde ogni aggancio con l’idea di una eguaglianza da costruire con politiche di inclusione. Quello che continua a portare il nome di democrazia in realtà è sempre più uno stanco rituale con il quale una élite dell’economia e degli affari si lascia legittimare, a scadenze prefissate, dal voto passivo di elettori distratti e disincantati. Tra ingorde oligarchie del denaro e rampanti gestori dei media che si contendono il potere, la libertà torna ad essere una mera appendice della sicurezza e della proprietà che ovunque conquista posti di comando nelle istituzioni.

E che ne è del pensiero critico? La tendenza della società dell’iperconsumo è quella di fare del consumo l’unico collante sociale. Tutto l’agire sociale pare risolversi perciò in una ricerca frenetica di sponsorizzazione e in perenne organizzazione di eventi. Gli stessi luoghi classici di produzione del sapere, le università, entrano nel vortice del consumo e, benché prive di fondi per la ricerca, riescono a spendere per la pubblicità la bellezza di 20 milioni di euro. Come attendibile spirito del tempo Giacché riporta l’esemplare caso della pubblicità dell’Università di Macerata: «Liscia o Gassata? Università di Macerata fonte di cultura, sorgente di professionalità». Tutte le forme di espressione, anche quelle del sapere, assumono ormai i devianti codici espressivi della pubblicità. Depotenziato dalle metafore deformanti della neolingua della merce, il soggetto sociale ancora manca e non si presenta sulla scena pubblica. In attesa che qualcosa sconvolga la seduzione ingannevole della merce, Giacché propone di cominciare assediando intanto il linguaggio per ripulirlo, e per riconsegnare così il reale alla sua durezza espressiva. La filosofia è insomma il proprio tempo negato (per ora) solo con il pensiero.

sabato 2 agosto 2008

Bologna 2 Agosto 1980







per non dimenticare!

venerdì 1 agosto 2008