mercoledì 18 febbraio 2009

Palestina, a che punto è la notte


È sempre bello e di buon auspicio vedere allo stesso tavolo un palestinese, Alì Rashid, ed un ebreo, Moni Ovadia, discutere di un tema importante e ormai da decenni attuale: il conflitto israelo-palestinese. Ma ieri pomeriggio, a Roma alla Casa internazionale delle donne, invitati dalla da poco nata Associazione “Per la Sinistra”, a quello stesso tavolo erano seduti anche Massimo D’Alema e Fausto Bertinotti e le sopite speranze di poter di nuovo rivedere un centrosinistra plurale ma disponibile al confronto e all’incontro si sono timidamente risvegliate.

Ma perché in un momento così delicato per il nostro paese, con la crisi economica e sociale sempre più grave, la catastrofica sconfitta dell’opposizione in Sardegna, la difficoltà profonda di una Sinistra stata spazzata via dalle sedi istituzionali alle ultime elezioni politiche e alla ricerca di un “che fare?”, l’autoritarismo di questo premier a partire dal caso di Eluana Englar, perché due esponenti di spicco del mondo politico di sinistra decidono di confrontarsi sul tema della questione mediorientale? Qual è il senso per le locali sorti? Potrebbe sembrare provincialismo, forse, ma è una domanda legittima, proprio in considerazione dell’attualità del nostro Paese.

Il chiarimento di questo dubbio ce lo dà Bertinotti quando afferma che una sinistra debole, sconfitta, quasi inesistente non serve a nessuno: è l’aiuto ad altri che serve a ricostruire la sinistra. In queste parole si legge un’inversione di tendenza chiara. Tornare a parlare di contenuti per colmare quel vuoto con cui le persone di sinistra ormai convivono da troppo tempo.

Del resto, come dice Moni Ovadia, “il governo italiano non farà mai niente per contribuire a trovare una soluzione alla questione mediorientale. Poiché, per cancellare le sue radici post fasciste, è e sarà sempre appiattito su Israele”.
Attraverso una discussione che si è snodata lungo due punti principali, cosa comporterà per le sorti dei territori occupati l’elezione di Obama e cosa può fare oggi la comunità internazionale per sbloccare la situazione di stallo, sono state molte le questioni affrontate dagli ospiti.

D’Alema ha parlato di “disinformazione paurosa” degli italiani per colpa dei giornali che molte notizie non le scrivono, di “regressione isterica” e ha auspicato di “evitare la trappola tragica di una risposta minoritaria e violenta, fascina per l’incendio antiarabo”. Ha ricordato lo storico ruolo dell’Europa nello scacchiere mediorientale parlando dei precisi ruoli che Usa ed Europa devono ricoprire: che gli Stati Uniti accompagnino pure Israele verso un progetto per la pacificazione dell’area, sostenendo per esempio la formazione di un governo di unità nazionale che lasci fuori partiti religiosi ed estremisti, ma l’Europa deve prendere per mano la Palestina, perché fino ad ora anche l’Europa si è schierata con Israele e questo rende impossibile uscire da questa “fase di pericolosa e drammatica stagnazione, con tutti i rischi che comporta”.

Secondo Bertinotti l’attesa nei confronti di Obama è inversamente proporzionale al grado di coinvolgimento diretto nella questione palestinese. Infatti, per chi è stato impegnato a manifestare solidarietà con l’ipotesi di una soluzione di pace la sfiducia da molto tempo è penetrata duramente.
“Il rifiuto sistematico del negoziato con la delegittimazione del negoziatore ne è una prova. Basti pensare agli accordi di Ginevra. Se ci fosse un tavolo, la soluzione sarebbe molto più vicina. Ma la soluzione è bloccata prima che si possa accedervi”.
“Una delegittimazione cominciata, continua Bertinotti, con la negazione dell’autorevolezza di Arafat, poi con l’occasione straordinaria ma persa di un governo di unità nazionale in Palestina, il miglior interlocutore che si potesse ottenere, e infine con la sistematica costruzione dell’impedimento alla mobilità intrapalestinese”. Secondo l’ex presidente della Camera “c’è bisogno di un lodo, di un arbitrato internazionale”. Bertinotti sottolinea la totale impotenza dell’intervento europeo causata dalla mancanza di una reale politica europea. “Grazie ad Obama ci potrà essere la possibilità che gli Usa entrino in un concerto di forze”. Conclude citando una frase dello stesso D’Alema: “per fare un accordo di pace bisogna farlo con i falchi di entrambe le parti seduti al tavolo”, ma, chiosa, “in Israele non si vedono colombe, e sul versante opposto c’è troppa divisione”. In conclusione rilancia l’idea di un movimento di opinione mondiale per la pace in Palestina, un movimento che sia di scopo.

Di fronte alle analisi di alto livello politico di due personalità come Bertinotti e D’Alema, rimangono fondamentali gli interventi dell’appelo alla base dell’incontro organizzato dall’Associazione “Per la Sinistra”. Seppur direttamente coinvolti, si sono fatti apprezzare per la schiettezza e l’obiettività con cui hanno affrontato il tema, pronunciando parole che soltanto un ebreo e un palestinese sarebbero stati legittimati a pronunciare in un’occasione del genere.

Con Alì Rashid che auspica che la guerra a Gaza non sia affrontata solo come questione umanitaria e che ricorda con amarezza la manifestazione organizzata a Roma lo scorso gennaio e Moni Ovadia che dice basta alle strumentalizzazioni dell’olocausto fatte da Israele, basta col minacciare di antisemitismo chi critica il governo israeliano, “è un atteggiamento fascistoide. Quello che serve ora è un atteggiamento laico, non ideologismi di maniera. Come disse lo stesso D’Alema, ci vuole equivicinanza”.

Contenuti, intellettuali, laicità, confronto, obiettività: il cammino appena imboccato verso una nuova sinistra sembra quello giusto.

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