martedì 10 giugno 2008

I nostri recinti

di Claudio Fava
Dunque, di cosa abbiamo paura, compagni miei? Di metterci in viaggio? Di immaginare per questo paese una sinistra che non sia solo una somma di recinti? Abbiamo paura di impegnarci nella costruzione di una sinistra che sappia finalmente elaborare le culture del comunismo e del socialismo per proporne una sintesi originale? Qualcuno di noi è così miope da vivere questa sfida culturale e politica, che forse prenderà il tempo e lo spazio di una generazione, come un tradimento ai sacri luoghi delle nostre identità? O pensiamo davvero che tra dieci o vent’anni ci saranno ancora, in questo paese, una sinistra cosiddetta “socialdemocratica” e una sinistra cosiddetta “comunista”, ciascuna gelosa custode delle proprie liturgie e della propria storia? Un nuovo soggetto politico di sinistra non soffocato dall’ornamento dei propri aggettivi è solo una favola ce ci raccontiamo o è realmente una sfida che ci mette tutti (tutti!) in discussione?

Provo a riepilogare per titoli ciò che ho spiegato nell’intervista di domenica sull’Unità. Punto numero uno: Sinistra Democratica è e resta con profonda convinzione nella famiglia del socialismo europeo. Punto secondo, non è per caso né per liturgia ma per convinzione politica che ho chiesto a Martin Schultz di venire ad aprire la nostra assemblea il 27 giugno a Cianciano; e non per cortesia ma per condivisione profonda del nostro percorso che Schultz ha accettato. Punto terzo: vale la pena ragionare sulla riflessione proposta nei giorni scorsi dal Centro per la Riforma dello Stato: forse, scrive il CRS, le socialdemocrazia e comunismo hanno chiuso il loro ciclo ma gli elementi di civiltà profonda che hanno seminato nella nostra storia sono fondamentali e vanno rielaborati e riorganizzati. Sarebbe bello che una nuova sinistra si assumesse questo compito.

Che è compito della storia, non della cronaca. Con i tempi lunghi della storia, non delle prossime elezioni europee (se questa è l’angoscia di qualcuno). Ma è un compito inevitabile: se non ce ne assumeremo noi il rischio e la paternità, toccherà ad altri. Altrimenti, che senso avrebbe avuto in questi mesi parlare di cantiere? Cantiere per costruire cosa? Solo una foto malinconica del presente? La costruzione di una nuova sinistra che sappia elaborare in avanti le culture di provenienza è il tema dei prossimi anni, non solo in Italia: la SPD tedesca è precipitata, dopo 145 anni di storia, ai suoi minimi storici e si pone concretamente per sopravvivere il problema di un diverso rapporto con la Linke di Lafontaine; il Labour nel Regno Unito, se si votasse oggi, perderebbe quindici punti rispetto alle ultime politiche; nemmeno in Francia i socialisti riescono a uscire dall’angolo, nonostante la caduta verticale di Sarkozy nei consensi. Se poi allarghiamo il nostro sguardo, scopriamo che in una decina di paesi dell’America Latina, dal Paraguay all’Argentina, è al governo una sinistra che è impossibile includere nella tradizione della socialdemocrazia o del comunismo: ma che comunque propone da sinistra un nuovo modello di società. E noi che in Italia, tutti insieme, comunisti, verdi e socialisti, valiamo il 4 per cento vorremmo rifiutare la sfida per la costruzione di una nuova sinistra che non sia la mera somma delle nostre appartenenze?

Questo è il tempo della nostra generosità, compagni. E’ proprio questa generosità, la ricerca di un nuovo senso da attribuire alla nostra identità che ci distingue irrimediabilmente dal Partito Democratico. Siamo incompatibili con il loro progetto non perché al Parlamento europeo forse siederemo su banchi diversi - noi tra i socialisti, loro non so – ma perché diverso è il nostro patrimonio di sensibilità e di pensiero critico, diversa è l’idea di equità sociale che la sinistra vuole riaffermare, diversa è la proposta di opposizione che intendiamo praticare oggi nel paese.

E’ questo che ho spiegato nell’intervista ed è ciò in cui credo profondamente: abbiamo iniziato un percorso che non mette in discussione cosa siamo oggi ma che s’interroga su come riorganizzeremo il vasto campo della sinistra domani. Credo che sia un nostro preciso dovere spingerci in questo viaggio: senza negare, senza abbandonare, senza celebrare frettolosi funerali. Ma senza aver nemmeno paura di costruire per la sinistra che verrà un’anima capace di fondere insieme il semi più fecondi della tradizione socialista e di quella comunista per rielaborarli in forme nuove. Stare oggi, con tutta la convinzione di cui siamo capaci, nella famiglia del socialismo europeo ne è premessa fondamentale. Ma non può diventare la nostra unica consolazione.

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