intervista a Claudio Fava
Il Congresso di Rifondazione, spiega il coordinatore nazionale di Sd Claudio Fava, ha fatto chiarezza. Non tanto per la vittoria di Paolo Ferrero quanto perché, dall’altro lato «prende ancora più forza e più urgenza la necessità di organizzare a sinistra un incontro tra storie, culture, sensibilità, linguaggi, che hanno scelto la sinistra non come museo ma come luogo di trasformazione del presente, laboratorio politico». Parla alla minoranza di Nichi Vendola, ma non solo. «Bandiera Rossa non è una scelta politica, è una fuga dalla politica. Da questa parte può e deve esserci l’idea di un sinistra che riorganizza profondamente sè stessa».
I congressi di luglio hanno visto tutti i partiti stringersi attorno alla propria idea forza...
«L’idea forza di un partito è tale quando produce anche effetti sul piano elettorale. Con il voto di aprile gli elettori ci dicono che non si sentono rappresentati da partiti ridotti a segmenti brevi, minuti, autoreferenziali, e che vogliono una sinistra che sia capace di rappresentarli spostando in avanti il ragionamento sulle identità. Credo che il congresso di Rifondazione, in questo senso, aiuti ad una maggiore verità nel dibattito politico. Tra chi sceglie Bandiera Rossa e chi sceglie di riorganizzare la sinistra in un campo molto più vasto e inclusivo».
Il tempo che avete a disposizione non sembra molto.
«O questo progetto parte subito, o questo laboratorio comincia a riempirsi di contenuti, oppure ricadiamo nel politicismo, nel tatticismo, nell’analisi delle convenienze. Noi siamo stati seppelliti dalle nostre contabilità elettorali e dai nostri tatticismi. E dovremo sentire un po’ più il cuore della nostra comunità che ci dice “mai più ciascuno a guardia del proprio museo”. Tutto questo va fatto subito».
Un’occasione?
«Io penso all’Abruzzo come un primo appuntamento non solo elettorale ma anche politico. La giunta in Abruzzo è scivolata rumorosamente sulla sovrapposizione tra ceto politico e potere locale. Su un tema tragico e fondamentale come la Sanità, che da diritto pubblico diventa profitto privato, è scivolata manifestando l’assoluta assenza di un’etica civile nella politica. E quindi non si tratta solo di scegliere il primo appuntamento elettorale».
Il problema abruzzese tiene dentro anche il timore di riconsegnare la Regione al centrodestra. Di Pietro è intenzionato ad andare da solo...
«Nessuno può stare in campo da solo. A meno che non scelga di stare in campo soltanto per vanità personale. Il centrosinistra può riorganizzarsi in Abruzzo, ma deve riorganizzarsi a partire da un azzeramento di tutte le gerarchie pregresse. Il centrosinistra in Abruzzo, più che altrove, non può avere padroni di casa e ospiti. Questo vale per il Pd come per Di Pietro».
Uno dei temi della sinistra che ha vinto il congresso del Prc è quello di spostare il “conflitto”...
«Il limite di questo gruppo dirigente del Prc è che assume il conflitto come parola onnivora, singolare, capace di rinchiudere dentro di sè una realtà sempre più complessa. Noi parliamo di “conflitti”. Questo è un tempo in cui la politica si deve fare carico di questa complessità e deve assumersi la rappresentanza di tutti i conflitti, non solo del conflitto più ortodosso, più tradizionale, che è il conflitto di classe. Questa è una lettura semplicistica, consolatoria, ma inadeguata a leggere il Paese reale».
L’obiettivo di Sd era quello di tenere insieme la Sinistra, a distanza di un anno e più dall’ultimo congresso dei Ds a che punto è la notte?
«Il punto più cupo è stato il 14 aprile. Da quel voto abbiamo ricevuto una lezione che ci chiede di riorganizzare la sinistra su di un piano di verità, di innovazione, di critica del presente e del passato, di capacità di rischio, di fantasia politica, di inclusività. Alla fine di quest’anno possiamo dire che sappiamo cosa non dobbiamo fare».
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