martedì 27 maggio 2008

come immaginavamo.....addio alle Feste de L'Unità


Feste de l’Unità, il nome è tutto
Antonio Padellaro (dir. "L'Unità)

Le Feste dell’Unità sono le Feste dell’Unità e non basterebbe una intera biblioteca per raccontare, spiegare, esprimere la quantità di sentimenti, di passioni, di valori che questo nome suscita. Ma dire « Festa dell’Unità » è andare oltre il puro significato identitario o politico. È quella cosa li, e non c’è bisogno di aggiungere altro. Festa dell’Unità è la cosa e il luogo. Anzi, è stato scritto non un luogo fisico ma una dimensione dell’essere. Un nome che definisce se stesso, come avviene per tutti i marchi universalmente riconoscibili, evocativi, e che nessuno si sognerebbe di cambiare.

Per questo siamo sicuri di avere mal compreso le indiscrezioni che parlano di un addio alla «Festa dell’Unità», a partire dalla prossima edizione nazionale di Firenze. Ci viene spiegato che il nuovo logo (si parla di «Festa Democratica») e la conseguenza della nascita di un nuovo partito, il Pd, nel quale convivono storie politiche diverse e non più riconducibili ai vecchi ceppi.

Siamo altresì convinti che si troverà il modo giusto per far convivere questo e quello, il nuovo e l’antico evitando di cancellare qualcosa che resta comunque nel cuore di milioni di persone.

Lo diciamo sul giornale che si onora di avere dato il nome alle Feste dell’Unità. Ricordando una frase, se non sbagliamo, di Elias Canetti. Che dare un nome alle cose è la più grande e seria consolazione concessa agli umani.

puoi dire la tua su www.unita.it

venerdì 23 maggio 2008

UNIRE LA SINISTRA CHE VUOLE RINNOVARSI

documento da discutere in vista dell'Assemblea Nazionale

L’esito delle elezioni politiche di aprile è molto grave. La partita aperta quindici anni fa, tra il centrodestra e il centrosinistra, segnata dall’inedito ingresso di una figura come quella di Berlusconi, è stata lungamente in bilico; si chiude ora con un netto successo politico del centrodestra. Ma é accaduto qualcosa d’altro: è cresciuta fortemente l’influenza della destra sull’opinione pubblica e nella formazione del senso comune. Evento che si spiega in parte con l’intreccio, senza eguali al mondo, tra potere politico, finanziario e mediatico, in parte con l’abdicazione e il collasso ideologico della sinistra storica.
Il voto di aprile rappresenta una sconfitta di tutto il centrosinistra. Perde il progetto riformista del Partito Democratico, con amplissimo margine. Viene bocciata senza appello la lista “La Sinistra-l’Arcobaleno”, che crolla al 3% facendo così mancare in Parlamento, per la prima volta nella storia repubblicana, la presenza di forze che si richiamino alla sinistra. Il risultato conferma che la divisione tra una sinistra moderata, che si suppone di governo, e una sinistra radicale, ritenuta sempre di opposizione, dà un solo esito politico: la vittoria della destra. Dopo il ’48, non c’era mai stato in Italia, e non c’è in Europa, un parlamento così conservatore e clericale.
Tre cause prima di altre hanno concorso a determinare questo risultato.
Anzitutto la delusione per l’esperienza del governo Prodi. L’esecutivo del centrosinistra, che ha dedicato due anni al risanamento dei conti pubblici, è caduto nel momento di massima impopolarità: le alte aspettative accese nel 2006 (a parte il già allora risicatissimo risultato elettorale) hanno lasciato il campo a rapide delusioni, tra le élites come nei ceti più popolari. Su queste delusioni la destra ha costruito, largamente condivise dal Partito Democratico, la sua agenda e le sue due priorità: tasse e sicurezza.
Pur critici sui risultati di questa stagione di governo, crediamo che aver deliberatamente liquidato la coalizione di centrosinistra ha messo tutti in un vicolo cieco. Il PD ha cercato nel corso di tutta la campagna elettorale di indicare nella “sinistra radicale” la responsabile degli insuccessi dell'esecutivo Prodi. Un accusa paradossale da parte di chi deteneva la stragrande maggioranza di ministri e sottosegretari. Ma non c’è dubbio che la sinistra sia apparsa, in questo suo impegno di governo, troppo spesso rissosa e al tempo stesso inefficace. La conseguenza è stata che siamo stati percepiti come causa della crisi e al tempo stesso siamo stati puniti per gli esiti deludenti dell’azione di governo.
La seconda causa: la scelta del PD non di “correre da solo” (vista l’intesa peraltro precaria con Di Pietro e con i Radicali) ma, più chiaramente, di rompere con la sinistra, demonizzandone le posizioni politiche in modo perfino caricaturale. I risultati del voto di aprile rappresentano una sconfitta senza appello per la pretesa “autosufficienza” del PD. Walter Veltroni ha condotto una campagna elettorale che gli ha permesso di utilizzare una esposizione mediatica enormemente superiore a quella di tutti gli altri candidati premier. Eppure i Democratici non sono riusciti a superare la soglia, alla quale ha contribuito anche il voto radicale, del 33%. E’ del tutto evidente che è stato sconfitto il PD ed stata sconfitta la sua pretesa di poter rappresentare l'intero arco del centrosinistra.
Ma è stata bocciata dagli elettori, va detto con onesta consapevolezza, anche qualunque pretesa di autosufficienza e di isolamento da parte della sinistra. Che è apparsa, nella proposta di "Sinistra-Arcobaleno", più come un residuo del passato che come una speranza per il futuro: insomma, non un soggetto politico unitario ma un cartello elettorale privo di proposta politica e di un’idea convincente sul futuro dell’Italia. Aver accreditato la tesi della “separazione consensuale” con il PD, ci ha impedito di chiarire le responsabilità della rottura e di poter chiedere il voto anche al fine di riaprire una prospettiva di centrosinistra. Alla martellante campagna sul “voto utile” abbiamo risposto dando noi per primi l’immagine di una forza non necessaria né per il governo né per l’opposizione. Superflui, appunto.
Il voto conferma invece che senza una sinistra popolare, innovativa e capace di una cultura di governo, una parte del Paese rimane senza rappresentanza e le forze progressiste sono destinate alla sconfitta. Dobbiamo ripartire da qui, da questa consapevolezza, da una rilettura anche spietata del nostro modo di costruire politica.
La fotografia sociale dell’Italia, anche dopo due anni di governo Prodi, è quella di un paese fortemente frammentato e diseguale. I salari sono tra i più bassi d’Europa; le morti “bianche” tra le più alte. L’Italia è un paese che invecchia rapidamente senza poter contare su un nuovo patto generazionale solidale tra giovani e anziani. Siamo al 32° posto nelle graduatorie europee per la ricerca scientifica ma al settimo posto per le spese militari. Il tasso di istruzione è tra i più bassi d’Europa e la dispersione scolastica tra le più alte Un paese ostile alla libertà femminile, incapace di valorizzare la differenza sessuale, in cui si aggrava la violenza contro le donne. Un paese che non riconosce il valore sociale della maternità, nega alle donne accesso al lavoro, parità salariale, rappresentanza nelle istituzioni e nella società.
Un paese attraversato da una domanda di sicurezza totalmente inedita perchè mescola in una miscela esplosiva fragilità sociale, paura del diverso, precarietà del lavoro e incertezza per il futuro, nuove contraddizioni nate dai flussi migratori alimentati dalla povertà del sud del mondo e dell’est dell’Europa in una globalizzazione non governata dalla politica.
Un paese ambientalmente insostenibile che deve ancora misurarsi sulla sfida per le energie rinnovabili, sui trasporti su ferro e sulle autostrade del mare, sulla salvaguardia del territorio agricolo dalle pesanti speculazioni. Un paese che deve ancora imparare a salvaguardare le coste per un turismo di qualità e la qualità urbana perché nelle grandi periferie la vita è sempre più dura. Nè ci convince lo slogan della crescita indistinta e della semplice ripresa dei consumi. Una sinistra nuova deve avere la capacità di dire quali sono i settori economici che devono crescere,quali sono i consumi che devono e possono aumentare e a favore di chi, e quali invece devono essere temperati e regolati.
Di fronte la drammatico esito delle elezioni politiche e agli immani compiti che ci attendono, pensare che il rimedio alla nostra sconfitta risieda nel ritorno alla frammentazione e alle certezze identitarie è non solo sbagliato in sé ma del tutto illusorio. Il voto ha bocciato il mero “patto federativo” tra forze politiche distinte e non comunicanti tra loro. E’ uno schema ormai non più riproponibile.
C’è bisogno di un salto in avanti, non di un ritorno indietro rispetto alla precaria formula dell’Arcobaleno. La sinistra ha, di fronte a se, una sola e importante possibilità di ripresa: quella di avviare subito la fase costituente di un nuovo soggetto politico che sia fondata sulla partecipazione e sul protagonismo di migliaia di donne e di uomini, iscritti e non iscritti ai partiti politici. Una Costituente di sinistra che sappia essere anche il cantiere di una innovazione politica e culturale, e che veda impegnate con generosità e passione quelle forze politiche che credono senza riserve in questo progetto. Non si deve ripetere l‘errore di ritenere che a sinistra si debba per forza stare tutti insieme, a prescindere dalle vocazione, dalle volontà, dalle categorie interpretative che si mettono in campo. Il carattere “plurale” del nuovo soggetto politico non può più significare la somma di apparati ma dev'essere lo scambio e la valorizzazione di culture che attraversano tutta la sinistra, in ciascuna delle sue attuali componenti: la cultura del lavoro, della qualità e della sostenibilità dello sviluppo, il pacifismo, l'esperienza femminista, quella dei diritti e delle libertà civili.
C’è già, tra i vecchi promotori dell’Arcobaleno, chi ha scelto un’altra strada, quella di una “Costituente dei comunisti”, scelta che rispettiamo ma non è certo la nostra: è un progetto arretrato e del tutto improduttivo. Esiste un’altra sinistra che vuole riaprire la possibilità di un’alternativa di governo al centrodestra a partire da un ripensamento radicale dell'esperienza dell'Unione. Quella formula, assemblaggio di tutte le forze che in quel momento intendevano contrapporsi alla destra, non è più riproponibile. Al paese serve un centrosinistra nuovo, coeso e determinato attorno ad un programma di cambiamento sociale.
Al tempo stesso,come rivelano la tiepidezza del dibattito politico alle Camere, occorre che la sinistra torni subito a fare opposizione e a rappresentarne le ragioni nella società, nei luoghi della politica, nel paese reale. Perché si possa riaprire una nuova prospettiva di alternativa alla destra, Sinistra Democratica su questo terreno vuole impegnarsi subito, prescindendo dagli esiti del dibattito interno al PD. Dipende da noi, dalla capacità della sinistra di essere, per sua forza, per il consenso che raccoglie e per la qualità delle sue opzioni ideali e programmatiche, un soggetto politico dal quale nessuno possa prescindere.
Ci spetta anche una funzione di presidio politico dell’opposizione, con le forme che sapremo trovare. Una funzione tanto più urgente quanto più sbiadita appare oggi l’opposizione parlamentare del Partito Democratico rispetto alle prime scelte di inequivocabile segno politico del governo Berlusconi (dal decreto sicurezza allo sprezzante isolamento europeo in tema di politiche per l’immigrazione)
Sinistra Democratica conferma la sua missione originaria: contribuire alla nascita di una nuova sinistra in Italia. Il nostro asse di riferimento politico resta il socialismo europeo ma é fondamentale costruire un progetto che riveda e superi la logica delle appartenenze tradizionali e che unisca mondi, culture, linguaggi capaci di ritrovarsi insieme dentro una comune idea di sinistra. Sappiamo quanto sia importante, a questo fine, l’esito dei congressi dei Verdi e di Rifondazione Comunista. Guardiamo al loro dibattito con grande rispetto e molte aspettative, così come guardiamo con grande attenzione il dibattito che attraversa il mondo laico e socialista. Ma le prossime settimane vogliamo che siano spese non nell’attesa dei congressi altrui ma con una forte ed immediata iniziativa politica. Il percorso democratico che abbiamo scelto e che ci porterà all’Assemblea Nazionale del 27, 28 e 29 giugno servirà a una nuova legittimazione, più aperta e più democratica, del nostro movimento e dei suoi organismi dirigenti, ma sarà indispensabile soprattutto per proiettare all'esterno il senso e la sfida della nostra proposta.
Dovremo essere capaci di aprire una forte iniziativa nella società: convocare ovunque assemblee pubbliche aperte a tutti i cittadini, moltiplicare il numero delle “case della sinistra”, partecipare a tutte le iniziative “per la Costituente” promosse da associazioni e movimenti politici, come quella che si è svolta a Firenze e le altre che sono in programma in diverse città italiane. Sarà nostro compito costruire una agenda di opposizione al governo Berlusconi: se non dai banchi del Parlamento, bisogna riprendere la parola subito, nelle forme e nei luoghi che avremo a disposizione, per intervenire nella discussione politica, assumere posizioni chiare e farle vivere nella società.
Questa legislatura è stata dichiarata dai vincitori “Costituente”: Il Partito Democratico ha subito aderito, con una larga e incondizionata (per quanto non unanime) apertura al dialogo e alla collaborazione. Su quali basi? Su quali condivise ipotesi di riforma? Se è vero che è avanzata a lunghi passi nella politica italiana l’estrema personalizzazione, il populismo e lo spirito del plebiscito, resta inaccettabile una trasformazione presidenzialistica e autoritaria della Costituzione repubblicana. Restano perciò valide le motivazioni che due anni fa hanno portato alla promozione di un referendum abrogativo della riforma costituzionale del centrodestra. Quel referendum ha vinto e oggi bisogna tornare a rivolgersi a tutti i cittadini che si impegnarono, aderendo all’appello dell’intero centrosinistra di allora. La nostra battaglia di opposizione dovrà riprendere dai temi della pace, delle libertà civili, dell’ambiente e dei diritti di chi lavora, oggi già esplicitamente minacciati dal nuovo governo delle destre.
Certo, nei prossimi anni ci aspetta una serie di nuove prove elettorali. Il rinnovo del Parlamento europeo è la scadenza più ravvicinata e quindi la più impegnativa: dopo la disfatta dell’aprile scorso la sinistra deve dare un segnale di ripresa e di presenza forte in tutto il Paese. E' assolutamente indispensabile che per quella data il nuovo soggetto della sinistra sia nelle condizioni di presentarsi agli elettori con il suo volto autonomo per chiedere loro fiducia e consenso necessari: un soggetto politico che si presenti con l’ambizione di parlare a tutte le forze di sinistra del nostro continente.
Per le elezioni amministrative e regionali va subito decisamente respinta l’ipotesi, formulata in seno al Partito Democratico, di alleanze à la carte, a seconda delle situazioni e delle esigenze dei territori: o c’è una esplicita alleanza con la sinistra, o nessuna alleanza, con le conseguenze inevitabili.
Noi crediamo che la sinistra sia viva nella società, nella cultura, nei valori in cui credono tanti uomini e tante donne di questo Paese. Questa parte dell’Italia ha bisogno di una coerente rappresentanza politica. Sinistra Democratica resta al servizio di questo progetto. Ci attende un periodo non breve di ricostruzione. Un lavoro difficile e appassionate di ricognizione sociale, di radicamento popolare, di ripensamento del progetto e della presenza della sinistra nel territorio e nei luoghi di lavoro. La sinistra che serve è una sinistra popolare, forte di una autonoma cultura critica, che porta il radicalismo dei contenuti in una prospettiva di governo. Che si pone il problema del rapporto con il PD, sapendo tenere insieme il conflitto politico e programmatico e la il progetto di un nuovo centrosinistra. E' una sinistra che solo in parte oggi ritroviamo nei suoi storici partiti di riferimento ma che nel paese è vasta e diffusa, ed ha saputo mostrarsi molte volte, con una capacità di aggregazione, di battaglia politica e di testimonianza civile altissime.
Serve una sinistra che è tale perché sceglie di materializzare sulla scena politica il lavoro e le sue trasformazioni dandogli rappresentanza, e che per questo sa costruire un rapporto nuovo con il sindacato che il lavoro rappresenta socialmente: un rapporto di reciproca autonomia, né competitivo né di estraneità e meno che mai di autosufficienza.
Ci rivolgiamo alle donne e agli uomini di sinistra, e a tutte le forze – politiche, culturali, associative, di movimento - che vogliono impegnarsi in questa sfida per una nuova sinistra. Disposta a misurarsi con la sfida del cambiamento. Donne e uomini che vogliono riaprire un cantiere politico, che non cercano il rifugio di vecchie trincee in cui sopravvivere a una battaglia persa. Questa sfida comporta spirito unitario e volontà di rinnovamento. Cioè un progetto politico e un processo Costituente: Sinistra Democratica farà la propria parte.

giovedì 22 maggio 2008

Padroni "democratici"

da Il Manifesto del 21 maggio

Padroni «democratici» Prima Colaninno, poi De Benedetti. Adesso 230 licenziati
Sogefi, sciopero contro la chiusura
m.ca
Mantova


Di punto in bianco alla fine d'aprile la Sogefi, che produce filtri per auto e per veicoli industriali leggeri, ha comunicato che il 31 luglio il suo stabilimento di Mantova cesserà le attività. Un annuncio freddo «come una pratica burocratica», commenta Alessandro Pagano, neosegretario della Fiom mantovana, con il sottinteso che degli «effetti collaterali» - 230 licenziati, per metà donne - si preoccuperanno gli enti locali, i sindacati, gli ammortizzatori sociali. Non l'azienda multinazionale che sul suo sito la sede di Mantova l'ha già cancellata. Un atteggiamento poco commendevole per un imprenditore che ha fama d'essere l'azionista di riferimento del centrosinistra. Trattasi di Carlo De Benedetti, patron del gruppo Cir a cui fa capo la Sogefi.
Contro la chiusura i metalmeccanici della provincia di Mantova ieri hanno scioperato quattro ore. Una bella manifestazione nel capoluogo, in piazza Mantegna, ha fatto percepire ai 230 licenziandi, «offesi e umiliati dall'azienda», sono ancora parole del segretario della Fiom, il sostegno dell'intera comunità. Tra le tute blu spiccava la fascia tricolore della sindaca Fiorenza Brioni (Pd). A botta calda la giunta comunale ha messo in chiaro che l'area della Sogefi resterà vincolata a uso industriale. E' una carta in mano a sindacati e lavoratori che puntano a proseguire l'attività produttiva nello stesso settore. Con un altro padrone e magari passando da un'inevitabile ristrutturazione, «governata però in modo umano e civile».
Oggi a Roma, al ministero dello sviluppo economico, primo incontro con i sindacati di categoria. Domani mattina all'Unione industriale di Mantova faccia a faccia con i rappresentanti della Sogefi, al pomeriggio vertice al Pirellone con la Commissione attività produttive della Regione Lombardia.
Quello dell'ingegnere Carlo De Benedetti non è l'unico nome «celebre» nella storia della Sogefi. L'azienda, che fino alla metà degli anni '90 si chiamava Fiaam Filter, è stata il trampolino di lancio del ragioniere Roberto Colaninno. Il legame tra azienda e territorio è stato rinforzato dal fatto che la Gazzetta di Mantova, il quotidiano locale per antonomasia, è del gruppo editoriale De Benedetti.
Non ci sono spiegazioni plausibili per una chiusura che risparmia, per il momento, gli impianti di Sant'Antonino, in Val Susa, l'altro sito produttivo in Italia della Sogefi Filtration. L'azienda è sana, produce per Fiat e Renault. L'utile del 2007 è stato leggermente inferiore a quello degli anni precedenti, ma questo non ha impedito alla Sogefi di distribuire un extradividendo agli azionisti. Come sempre quando si tratta di multinaziionali, si ventila l'ipotesi della delocalizzazione. Ma solo la Slovenia, tra i paesi europei in cui è presente la Sogefi, può vantare costi del lavoro inferiori a quelli italiani.
A riprova che l'azienda non naviga in cattive acque, nello stabilimento di Mantova si continua a lavorare. Con presidio permanente 24 ore su 24, domenica compresa. «Da lì non deve uscire neppure uno spillo», dice Luigi Lottardi della Camera del lavoro di Mantova. Si vigila che non vengano smontati e portati via a pezzi i macchinari. L'obiettivo del sindacato è di «disinnescare» la chiusura prima del 31 luglio, guadagnare tempo per trovare una soluzione alternativa. In zona c'è un precedente positivo: nella fabbrica di Castiglione delle Stiviere, abbandonata dalla multinazionale Wella, la produzione continua.

mercoledì 21 maggio 2008

Fava: "Sinistra Democratica è dentro la Costituente della Sinistra"


Il mio incontro di ieri con il segretario del PD Veltroni aveva due punti all'ordine del giorno. Il primo: la legge elettorale. Una falsa priorità per il nostro paese e per l'Europa, uno strumento surrettizio per reintrodurre il principio del voto utile attraverso soglie proibitive di sbarramento. Non mi interessava discutere sulla bontà del 3% proposto dal PD in contrapposizione al 5% preteso dal governo: mi interessava contestare l'idea stessa d'una nuova legge elettorale.Cosí è stato, così ho fatto. Ottenendo che questa discussione venga congelata, messa da parte, espunta dal tavolo delle presunte priorità istituzionali. E se in futuro si dovesse riaprire il dibattito, abbiamo convenuto che vi partecipino, con pari dignità politica, tutti i soggetti interessati, senza limitarsi a una conversazione da caminetto tra Pd e Pdl....
Secondo obiettivo: il centrosinistra. Cioè il superamento del falso mito elettorale dell'autosufficienza del Partito Democratico. Partendo da un ragionamento di onestà politica: l'Unione è stata una infelice stagione di coalizione e di governo, ma altrettanto infelice sarebbe l'idea che ciascuno adesso coltivi la propria solitudine. Esiste davvero la disponibilità del Pd a confrontarsi a sinistra non su titoli astratti ma sulle scelte politiche concrete, avendo come punto d'arrivo la costruzione di un nuovo centrosinistra? La risposta di Veltroni, modificando radicalmente l'asse della prospettiva politica del suo partito, è stata sì. Adesso si tratta di vedere se all'annuncio, come chiedono anche i compagni di Rifondazione, seguiranno i fatti. Cioè la costruzione di un terreno concreto di confronto e di reciproca autonomia tra il Pd e le forze della sinistra che a questo confronto siano disponibili.
Terzo punto, che è stato utile ribadire anzitutto ad uso della stampa: Sinistra Democratica ha fatto una scelta di percorso politico e di prospettiva, in tempi non sospetti. Una scelta chiara, netta, coerente, contenuta nella nostra stessa ragione sociale: fuori, con profonda convinzione, dal progetto moderato del Pd; dentro, con altrettanta convinzione, al progetto di un cantiere della nuova sinistra. Che oggi vogliamo condividere con chi sceglie di non arroccarsi nella ridotta simbolica dell'identità comunista. Noi siamo in campo per la Costituente di sinistra: che vuol'essere la nostra ragione, la nostra passione e il nostro contributo al paese.
Premessa necessaria, per chi ne avesse perso memoria e per chiarire cosa vuol dire per noi "confronto" con il Pd: vuol dire politica, capire se esiste un terreno su cui misurarsi per un progetto di governo del paese e per un'idea forte e reale di opposizione. Allo stato dei fatti, questa terreno è sdrucciolevole, fragilissimo, in ripida pendenza. Di tenere fermo l'asse di una opposizione - politica e sociale - al governo Berlusconi se n'è dovuta far carico solo la sinistra. Nelle Camere tutto è sfumato nelle formule di cortesia con cui è stato accolto il discorso di investitura di Berlusconi.
Detto ciò, noi continueremo a impegnarci per fare opposizione, nelle forme e con gli strumenti che avremo. Ma al tempo stesso vogliamo comprendere se vi è spazio tra la sinistra (non solo Sinistra democratica!) e il Pd per ricostruire un'idea diversa di centrosinistra. Di cui questo paese ha maledettamente bisogno se non vogliamo abbandonarlo all'egemonia della destra per i prossimi cinquant'anni. Tutto ciò passa attraverso un punto di verità politica: nessuno è autosufficiente. Né il Pd né la sinistra. Le "separazioni consensuali" hanno regalato a Berlusconi questo paese: è un vizio d'egoismo che non possiamo più permetterci.
L'incontro di ieri con Veltroni è servito essenzialmente a questo: a ricostruire il terreno di un confronto politico sul merito delle cose da fare e da dire a questo paese. Se ci saranno le condizioni perchè questo confronto possa produrre esiti utili, non saremo certo noi a impedirlo. Adesso tocca al Pd dimostrare che il tempo dell'autosufficienza è davvero concluso. Se così non fosse, andrebbe rivisto l'intero impianto politico del nostro confronto, a partire dai territori in cui la sinistra e il Pd insieme sono forza di governo.

domenica 11 maggio 2008

Caludio Fava nuovo coordinatore di SD





tutte le notizie su Fava e sul comitato politico del 10 maggio di SD le trovate su www.sinistra-democratica.it

venerdì 9 maggio 2008

intervista a Mussi. da "il manifesto"

«Nel 2003 non abbiamo dato risposte ai movimenti. In campagna elettorale abbiamo fatto un gioco delle parti con Veltroni. Ma un tentativo ancora va fatto. Alle europee». Il 26 luglio di due anni fa Fabio Mussi, ministro della ricerca da un paio di mesi, minacciò le dimissioni di fronte al taglio delle risorse per l'università deciso dal collega Padoa Schioppa. Adesso, che sta portando via le ultime cose dallo studio all'Eur che da stasera sarà di Mariastella Gelmini, ripensa a quel passaggio, «forse avrei fatto bene a dimettermi, questi due anni sono stati terribili, la sinistra era sottorappresentata al governo e noi ministri dell'arcobaleno abbiamo dovuto combattere su troppi fronti». Il risultato del 14 aprile, che ha colto Mussi in piena convalescenza da un'operazione che lo ha tenuto via dalla campagna elettorale, dimostra che i ripensamenti sono tutti utili: «E' stato un catastrofico fallimento».

E' passato un mese dalle elezioni, nella sinistra arcobaleno sono partite le ostilità fratricide ma non la riflessione sul tracollo. Incapacità o incoscienza?
Il fatto è che quello di aprile è stato un risultato epocale, richiede un'analisi complessa. Si è chiusa una fase iniziata nel 1992-93 quando il quadro politico della Repubblica si era ricomposto con i nuovi partiti eredi della Dc e del Pci. E' iniziata allora una lunga partita a scacchi rimasta per 15 anni sostanzialmente in equilibrio. Quando aveva vinto Berlusconi era andato in crisi subito, Prodi era durato due anni, poi i governi D'Alema e Amato, poi il 2001 con Berlusconi che resta in sella cinque anni ma cambiando ministri in continuazione e con una forte opposizione sociale, offrendo comunque una senso di instabilità. E poi la nostra vittoria illusoria di due anni fa, come solo adesso riconosce Veltroni.

Dice «abbiamo fatto finta di avere vinto», perché allora non c'era il Pd.
Falso, l'ipotesi del Pd era già fortemente in campo. E se con il discredito internazionale di Berlusconi, le leggi vergogna, la crescita zero si vinse per 24mila voti era il caso di preoccuparsi. Ed ecco il risultato del 2008 che è un vero finale di partita. Il lungo tira e molla durato 15 anni si è concluso con un deciso spostamento a destra. Non c'è mai stato un parlamento così clericale in Italia. Il paradosso è che il Pd era partito alla conquista dell'America ma si ritrova come il Pci: sostanzialmente senza prospettive, chiuso. E senza il radicamento sociale, la forza intellettuale e i legami internazionali del Pci. Ha assorbito i radicali, portato via la metà degli elettori di sinistra ma ha solo 100mila voti in più della somma di Ds e Margherita. Arriva al 33% perché c'è stato un calo dei votanti.

Parliamo invece del 3% della sinistra arcobaleno.
Non sfuggo, dico anzi che il nostro tentativo è stato tardivo e pasticciato e per questo fallimentare. Vorrei però cercare le cause alla loro origine, il ritardo è di molti anni. Tra il 2001 e il 2003, da Genova al social forum di Firenze, l'Italia partecipò non poco a quella che il New York Times definì la seconda superpotenza mondiale. Il movimento pacifista e alteromondista si sommò alla crescita del movimento sindacale sui diritti dei lavoratori, i 3 milioni per l'articolo 18. Poi l'opposizione a Berlusconi, i girotondi. C'era una battaglia politica forte nei Ds. E la sinistra ha lasciato passare quella fase senza riuscire a dare a quei movimenti una rappresentanza politica minimamente adeguata. Stiamo parlando di cinque anni fa, non del secolo scorso.

Ad un'assemblea del manifesto nel gennaio 2005 tu invitasti a guardare anche oltre il 13% che era allora la somma delle forze di sinistra.
Da allora si è persa una quantità incalcolabile di battute. Ci sono state complicazioni, come Cofferati che appare come possibile leader e poi si ritira. Ma la sostanza è che c'erano le condizioni e non siamo riusciti a costruire qualcosa di diverso a sinistra. Perché? Perché ha prevalso la logica settaria delle appartenenze. La frammentazione, la competizione che in un certo momento può anche essere un elemento di forza, ma alla fine è diventato un peso mortale.

Ma il 2008 non dimostra il contrario, che l'unità improvvisata non paga?
Così certo: durante la campagna elettorale che ho seguito da un letto di ospedale capivo che ripetere sempre "non siamo un cartello elettorale" voleva dire il contrario, "siamo proprio un cartello elettorale". Da quando siamo usciti dai Ds nel 2007 sono cominciati mesi estenuanti, guardinghi. Ad ottobre il Pd ha fatto le primarie, con tutti i limiti ma ha chiamato 3 milioni di persone. La sinistra ha fatto una manifestazione, quando era il momento di fare un partito.

Due cose non in contraddizione.
E invece ci si è fermati subito. Ricordo la fatica per fare l'assemblea del 7 e 8 dicembre. Ricordo il sospetto reciproco sulla riforma della legge elettorale. Alla fine lo scioglimento delle camere ci ha colto in mezzo al guado.

Basta questo per spiegare il tracollo?
Non basta. Ricordo che a febbraio fui io a chiedere insistentemente un incontro della sinistra arcobaleno con Veltroni per non dare per morta la coalizione. E invece la decisione di rompere a sinistra era stata già presa. E' rimasta la sensazione di un gioco delle parti con il Pd, è sembrata una separazione consensuale. E invece bisognava inchiodare Veltroni su questo punto, spiegare che così consegnava il paese a Berlusconi.

E adesso ci potrà essere un rapporto con il Pd?
Sono per tenere aperta una porta per il centrosinistra. Ma adesso è il momento della lotta politica a denti sfoderati. Veltroni dice che le alleanze per le amministrative si decideranno caso per caso? Rispondiamogli che vada da solo. Sinistra arcobaleno può ancora essere determinante in molti luoghi. Ero per questa linea anche prima delle elezioni, non mi piaceva che Veltroni ci cacciasse dall'alleanza nazionale ma ci chiedesse di sostenere i sindaci del Pd. Dovevamo uscire subito dalle giunte, e poi ragionare.

E adesso come si fa politica fuori dal parlamento, come si fa l'opposizione a Berlusconi?
La prima cosa è riprendere la parola sulle questioni essenziali. La sinistra in questo momento è al mutismo. Due mesi di congressi rischiano di bloccare tutto. L'opposizione fuori dal parlamento sarà indispensabile, anche perché ho l'impressione che dentro ce ne sarà poca. E' tutto un cinguettio: dialogo, collaborazione. Sembra di stare nel mondo di Heidi. Legislatura costituente? Ma cosa. Rimettiamo in piedi il movimento che aveva promosso il referendum del 2006 per difendere la Costituzione.

E la sinistra arcobaleno intanto? Progetto bocciato, progetto archiviato?
Secondo me dobbiamo fare un altro tentativo. Uno. Non è immaginabile un parlamento con nessuno che si dice di sinistra. Il progetto va rivisto, è chiaro. Per fortuna nessuno ha particolare voglia di aderire alla costituente comunista di Diliberto. Una delle cose da rivedere è l'idea di non avere nemici a sinistra. Non tutta la sinistra può essere unita. Ma nessuno può pensare che di fronte al nuovo quadro con due, tre grandi partiti noi si possa restare sbriciolati in quattro, cinque piccole forze. Dobbiamo dare un segno di vita, e velocemente. L'anno prossimo, alle europee, va fatto il tentativo di una lista che si proponga come ponte tra le forze del socialismo europeo e le forze di sinistra alternativa.

martedì 6 maggio 2008

intervento di Claudio Fava


E’ bene a Sinistra Democratica discutere su ciò che è accaduto e sulle cose che dovremo decidere. Ed è bene che ciò si faccia in punta di verità, affrontando intanto una domanda dolorosa ma necessaria: abbiamo fatto bene ad andarcene dai DS? A cercare una strada nostra e a rifiutare l’approdo ecumenico nel Partito Democratico? Io sono convinto di sì. Il progetto del PD (e lo dico senza che ciò suoni da conforto per i nostri errori) ha rivelato le contraddizioni, le semplificazioni e le reticenze che avevamo previsto con largo anticipo. Se fossimo rimasti dentro, magari con il pretesto di dar vita alla sinistra del PD, oggi saremmo ridotti a una delle molte correnti incattivite di quel partito, accanto a veltroniani, dalemiani, amici di Letta, ex popolari, fedeli di Prodi e reduci di Rutelli. Roba da nozze con i fichi secchi.
Bene facciamo a non nutrire rimpianti. E bene faremo a non emulare il Pd nei sui vizi. Per cui, compagni e amici, facciamo sforzo di sincerità. Siamo rimasti – nelle forme organizzative, nei rapporti personali, nell’elaborazione della nostra attività – la mozione di minoranza di un partito (che nel frattempo aveva cessato di esistere). Di più. Siamo stati percepiti come una somma di mozioni: ci battevamo, con onesta generosità, per una sinistra unita e plurale ma intanto facevamo fatica a elaborare il lutto dai DS, dalle sue formule congressuali, dalle sue pratiche autoreferenziali. Abbiamo continuato a coltivare con religiosa sacralità i concetti di “area”, “sensibilità”, “componente”: categorie che forse un tempo hanno avuto una loro ragione d’essere, ma che oggi fanno parte di un malinconico rituale politico.
Sia chiaro: non si tratta di rifiutare una dialettica forte, vera e perfino aspra sulle cose da fare, sui gesti da compiere, sui riferimenti culturali e politici da assumere: si tratta di non incartare questa dialettica in un gioco delle parti. E’ ciò che ci mandano a dire gli elettori smarriti, quelli migrati altrove o rimasti a casa: dateci un segno che una nuova stagione della politica non sarà soltanto la somma di vecchie liturgie e di vecchi gruppi dirigenti. Ci chiedono un segno concreto che sappia mettere in discussione linguaggi, categorie, pratiche. Quel segno, diceva bene Carlo Leoni qualche giorno fa, passa anche attraverso la capacità di rivedere e di rilanciare le forme della partecipazione alla vita di Sinistra Democratica.
Ed è questo un punto discriminante. Di fronte al comprensibile passo indietro di Fabio Mussi dai ritmi e dalle responsabilità della sua funzione di coordinatore, vogliamo ridurre questa partecipazione a una frettolosa contabilità di assemblee locali per eleggere il nuovo coordinatore del movimento? Magari per tornare a contarci e ricontarci? Tutto qui? Credo che sarebbe ingeneroso nei confronti di Mussi, come se davvero il colpo d’ala di Sinistra Democratica sia legato alla scelta d’un nuovo “leader”, dimenticando che Fabio - responsabile come tutti noi per le scelte, i ritardi e gli errori di questa fase – più di noi ha saputo mantenere in questi mesi la linea di una assoluta, intransigente coerenza con il progetto fondativo del nostro movimento. Ma sarebbe ingeneroso anche nei confronti della nostra gente che chiede protagonismo e partecipazione sulla politica nel suo complesso. Sulle cose da fare. Sui terreni concreti su cui misurarsi. Sul modo di rendere il Sinistra Democratica un luogo inclusivo, aperto, contaminato e finalmente arricchito anche da chi non proviene dall’esperienza dei DS.
Partecipare vuol dire allargare, aprire, condividere. Anche per questo non mi riconosco più in un dibattito su quale debba essere la nostra tradizione politica di riferimento: se quella comunista, quella socialista, l’ambientalista… E’ un vecchio gioco, una collezione di nomi e di memorie che alla fine non produce nuova politica ma solo gestione dell’esistente. Qualcuno crede che verremo giudicati per un’astratta evocazione delle categorie del socialismo o del comunismo, o piuttosto per le scelte, i gesti, le azioni? A Vicenza s’è vinto non per aver messo al centro le proprie tradizionali appartenenze ma perché un candidato sindaco, e la coalizione che lo appoggiava, ha detto ciò che il governo Prodi non aveva saputo dire, ovvero sulla base militare di Dal Molin non decideranno gli americani ma i vicentini, con un referendum che restituirà a ciascuno di loro piena sovranità sulla loro vita. E’ stata una battaglia ascrivibile al socialismo europeo? Alla falce e martello? Gli elettori non se lo sono chiesti. Si sono chiesti semplicemente se questa sinistra li avrebbe saputi tutelare e rappresentare di fronte all’arroganza di quella base.
Insomma, cari compagni, abbiamo o no l’umiltà e il coraggio di comprendere cosa ci sia dietro quel “tre” politico che ci è stato assegnato alle ultime elezioni? Gli italiani ci mandano a dire che questo è un paese diseguale, sgraziato, confuso, ingenuo, un paese di caste e non di classi, un paese in cui stanno male, malissimo, il laureato disoccupato, il ceto medio con stipendi in caduta liberta, l’operaio che rischia di crepare in fabbrica, il ricercatore universitario a 800 euro al mese, il precario invecchiato in attesa del posto fisso, il commerciante meridionale condannato a pagare il pizzo... Gli elettori di sinistra che ci hanno voltato le spalle non vogliono sapere se faremo parte della famiglia del socialismo europeo o dell’internazionale comunista, e nemmeno se falce e martello saranno ancora un minuscolo logo in fondo al nostro simbolo come le prescrizioni di un medico. Vogliono sapere chi siamo, cosa vogliamo fare per questo paese, come ci faremo carico della sua concreta, drammatica richiesta di cambiamento. Vogliono sapere in che modo crediamo di ricostruire una forma della politica che parta dal basso e dagli altri, non da noi stessi. Gli elettori di sinistra ci chiedono di aprire le nostre finestre e di guardare fuori, per capire cosa accade oltre la linea del nostro consueto orizzonte. Che è cosa più complicata e meno rituale del semplice “ritorno sul territorio”. Mayakowski, poeta e comunista, alla fine si ammazzò perchè stufo di un comunismo fatto di regole, liturgie e primi della classe. Ma prima ci mandò a dire, in un solo verso, tutta la sua rabbia, tutta la sua disperazione, tutta la sua verità: “Esci partito dalle tue stanze, torna amico dei ragazzi di strada”.

lunedì 5 maggio 2008

intervento di Carlo Leoni

Con il loro articolo su l’Unità del 30 aprile scorso ( Sinistra Democratica, che fare ?), Cesare Salvi e Massimo Villone rendono finalmente pubblici i temi che stanno impegnando la discussione tra i militanti di Sinistra Democratica dopo i drammatici risultati delle elezioni politiche del 13 e 14 aprile.Concordo su diverse cose tra quelle sostenute da Salvi e Villone. Su altre vorrei discutere ed è quello che mi accingo a fare. Dico subito che tra le cose con cui concordo c’è non soltanto l’esigenza di un serio percorso di partecipazione e di decisione che impegni con procedure democratiche tutti i nostri iscritti e non solo loro, ma anche le critiche che in quell’articolo vengono avanzate sulla mancanza che abbiamo avuto fin qui di meccanismi decisionali partecipativi e di regole certe e trasparenti. Critiche che nell’insieme condivido soprattutto perché le intendo anche come autocritica visto che i due compagni che scrivono, al pari del sottoscritto e di altri, hanno avuto responsabilità politiche e parlamentari di rilievo. Tutti noi, dopo il risultato catastrofico della Sinistra Arcobaleno, dovremo dare prova di grande umiltà e disinteresse e di una piena assunzione di responsabilità per quanto accaduto.Dico questo perché un anno dopo la nascita del nostro movimento politico e quella indimenticabile assemblea del 5 maggio del 2007 a Roma, ci ritroviamo con la sinistra fuori dal Parlamento e ai compagni che ci chiedono “dove ci avete portato” e si chiedono se non abbiamo sbagliato tutto, dobbiamo dare risposte oneste e sincere assumendoci, ripeto, una piena responsabilità. Provo a dire la mia.Io penso che errori ne abbiamo commessi e indicherò più avanti quello che a me pare il fondamentale, ma non penso affatto che abbiamo sbagliato tutto.
Potevamo fare la sinistra del PD ?
Non è stata un errore,intanto, la scelta di non partecipare alla nascita e alla vita del Partito Democratico.Uscimmo dai DS perché convinti che sarebbe stato del tutto sterile e improduttivo, oltre che incoerente con ciò che avevamo detto fino a quel momento, limitare il nostro campo d’azione a quello di una corrente interna ad un partito programmaticamente non più di sinistra. Meglio, dicemmo, per il futuro del centrosinistra, lavorare a costruire una nuova sinistra alleata con il PD.I fatti ci hanno dato ragione, su questo punto, in una misura allora perfino imprevedibile.Il PD che abbiamo visto durante la campagna elettorale, per il profilo programmatico e politico che gli italiani hanno potuto percepire, era certo una forza progressista ma non di sinistra. Il suo leader lo ha perfino limpidamente rivendicato in una intervista a El Pais.Quel partito ha scelto e operato una rottura politica grave con la sinistra regalando così la vittoria a Berlusconi e scaricando incredibilmente sulla sinistra tutta la responsabilità della crisi del Governo Prodi. Accusa incredibile perché tutti sanno che ben altri sono stati i killers dell’Unione e del suo esecutivo.Il PD non ha scelto di “correre da solo”, vista l’alleanza assai problematica con Di Pietro e con i Radicali, ma ha perseguito l’obiettivo di demonizzare, isolare e schiacciare la sinistra arcobaleno.Risultato conseguito fino al punto dell’assenza dalle aule parlamentari, anche ovviamente per responsabilità soggettive della stessa sinistra.Ci si poteva aspettare in quel momento una reazione dall’interno del PD contro questa rottura a sinistra. Esiste in quel partito un insieme di forze che si è definito “sinistra del PD” e che tuttavia non ha sollevato non dico una critica, ma neanche un dubbio, una preoccupazione su quanto stava avvenendo. Perché ? Eppure tra quelle compagne e quei compagni non mancano davvero persone capaci di esporsi e di dare battaglia.Il dato è strutturale, non soggettivo. Quel partito, nascendo da un rapporto diretto tra il leader e gli elettori, non può contemplare una vera articolazione politica al suo interno e tantomeno tollerare una battaglia politica organizzata come avviene ad esempio in tutte le socialdemocrazie. Al massimo qualche convegno, un paio di interviste…I fatti dimostrano quindi che scegliere di convergere in una “sinistra del PD” sarebbe stato davvero sterile e del tutto improduttivo.
PD solitario o nuovo centrosinistra ?
A questo punto è doveroso rispondere ad un’altra domanda. Visti i risultati delle elezioni politiche e la vera e propria disfatta dell’Arcobaleno, ha ancora un senso pensare che per battere la destra serva una forza autonoma della sinistra alleata del PD ? Non è che i democratici possono farcela da soli ?La risposta dipende dall’analisi che si fa dello tzunami del 13 e 14 aprile. Se si legge l’ampio successo berlusconiano e leghista come l’esito di un momentaneo voto di protesta e l’alleanza insediata al governo del Paese come fragile e precaria, allora si può anche pensare che con una sapiente campagna elettorale, prima della fine naturale della legislatura, il PD, sostanzialmente da solo, possa ribaltare la situazione. Io non la penso così. Mi sembra un’analisi troppo consolatoria.Vedo al contrario, purtroppo, e la vittoria di Alemanno a Roma è un’amara conferma, una destra che nel Paese ( in tutto il Paese ! ) si è insediata e consolidata socialmente come non mai. Non è davvero più partiti di plastica e folclore secessionista ma una realtà radicata e dura da scalfire e il terzo Governo Berlusconi è retto da una maggioranza non solo più ampia ma più coesa di prima e più “appagata” in ciascuna delle sue componenti.Se è così, e temo che lo sia, davvero il PD può pensare di rimontare da solo il divario più ampio che ci sia mai stato tra centrodestra e centrosinistra ?Credo che presto in quella forza politica si dovrà riaprire un dibattito sulla prospettiva politica dal quale potrebbe maturare la convinzione che senza una nuova strategia di alleanze politiche, senza un nuovo centrosinistra, sarà impossibile “tornare a vincere”.Walter Veltroni ha fatto una campagna elettorale di una intensità mai vista prima. Ogni giorno una Provincia, piazze piene ed entusiaste, comizi perfino a mezzanotte. E ha beneficiato, insieme a Berlusconi, di un vantaggio mediatico enorme rispetto a quello degli altri candidati premier.Eppure nonostante questo spazio e quella performance non c’è stata l’annunciata rimonta e lo svantaggio rispetto alla destra rimane amplissimo.Basterebbe questo per capire che la strategia della corsa solitaria è stata sconfitta e non ha pagato. Ma forse al PD serve ancora un po’ di tempo per rendersene conto.Dubito peraltro che con il peso preponderane e determinante della Lega, Berlusconi si renda disponibile a forzature normative per imporre un bipartitismo che non è nella testa degli elettori.Credo quindi che la sinistra debba guardare con interesse al dibattito interno al PD e semmai lavorare per quanto possibile affinché emergano in quel partito le contraddizioni di una scelta politica sbagliata.L’elettorato del PD insieme a quello della sinistra è molto scosso da quanto è successo.Ci vuole acqua e non sangue nelle vene per assistere indifferenti, da tecnocrati della politica, al fatto che nel giro di quarantotto ore abbiamo visto l’elezione di Alemanno in Campidoglio e quella di Fini alla Presidenza della Camera.Erano stati annunciati degli “choc innovativi”, ma così forti proprio non ce li aspettavamo.
Una sinistra competitiva
Ho parlato di un “nuovo centrosinistra” perché non possiamo proprio noi dirci nostalgici della formula dell’Unione, di un’alleanza da Dini a Turigliatto, nella quale chi ha pagato il prezzo più alto è stata proprio la sinistra e le sue ragioni programmatiche.Ma affinché si possa aprire la stagione di una nuova alleanza progressista per il Governo del Paese non basta che nel PD si superi l’illusione dell’autosufficienza. La si potrebbe perfino superare guardando non già a sinistra ma verso l’Udc e altre componenti centriste. E i primi segnali ci sono già.Serve che sia in campo una sinistra che si ponga il doppio problema di un suo forte radicamento popolare e di una coraggiosa innovazione politica e culturale. E che a partire da queste scelte si proponga nei fatti, imprescindibilmente, come una forza indispensabile per il Governo del Paese.Una “sinistra di governo”, ci ricordano Salvi e Villone. Certo, ma non basta dichiarare di esserlo, se la tua consistenza e la forza delle tue idee non solo tali da mettere gli altri di fronte a qualcosa da cui sia difficile prescindere.Serve una sinistra assai diversa da quella che si è vista in campagna elettorale.Ha ripetuto spesso Niki Vendola in questi giorni,e io sono assolutamente d’accordo con lui, che siamo stati cartello elettorale e residuo di un passato, più che nuova soggettività e speranza per il futuro.Aggiungo che siamo apparsi come una forza non utile, di fronte all’ondata di destra, né per il Governo né per l’opposizione.Non è solo colpa del PD e del suo appello disperato e infondato al “voto utile”. Anche l’Udc è stata fatta oggetto di analoga campagna da parte di Berlusconi, ma Casini ha resistito e noi no.La verità è che una parte dell’Arcobaleno la pensava nei fatti come Veltroni. Riteneva cioè che anche alla sinistra convenisse uno “splendido isolamento” libero dai vincoli delle alleanza politiche.Questo ha autorizzato il PD a parlare senza tema di smentite di “separazione consensuale” e ha impedito all’Arcobaleno non solo di indicare nei democratici i responsabili di una rottura che stava spianando la strada alla destra, ma soprattutto di presentare il voto alla sinistra come utile, anzi indispensabile a riaprire una prospettiva di centrosinistra per il Governo del Paese.Questo è stato l’errore fondamentale,a mio avviso, dal quale è derivata la pesante sconfitta elettorale della sinistra.Mi si dirà che appartengo a una vecchia scuola ed è probabilmente vero, ma io rimango convinto che privi di proposta politica ci si può presentare ad un seminario non alle elezioni per il Parlamento. L’Arcobaleno si è presentato al voto sulla difensiva ( “la sinistra non può scomparire”) e del tutto privo di una proposta politica. A mio avviso ha pagato innanzitutto per questo.
Il difetto principale di Sinistra Democratica
Avevamo visto tutto questo, ma ce lo siamo tenuto per noi. Intendiamoci, nelle sedi ristrette e nelle riunioni riservate con i nostri partners Fabio Mussi e gli altri che vi partecipavano hanno denunciato questi difetti e paventato i rischi cui stavamo andando incontro.Ma avremmo dovuto innescare su questi temi un dibattito pubblico, rendere noto il nostro punto di vista, coniugare, in una parola, tensione unitaria e battaglia politica.Per passione unitaria e per ferma adesione al progetto di una nuova sinistra, ci siamo invece autocensurati e così abbiamo nuociuto non tanto a noi stessi quanto soprattutto alle capacità espansive dell’Arcobaleno. E avremmo dovuto esplicitare con maggiore forza che per noi la formula della “federazione” tra forze diverse, con la quale siamo andati al voto, era del tutto insufficiente e priva di qualunque capacità attrattiva. Oggi Ferrero rilancia proprio quella ipotesi federativa che è stata così pesantemente sconfitta dagli elettori. Spero proprio che in Rifondazione prevalgano posizioni più avanzate.
Noi, il socialismo europeo e la nuova sinistra italiana
Pensando al nuovo soggetto della sinistra, che per me rimane la missione essenziale di SD, io resto affezionato all’aggettivo “plurale” a condizione che ci intendiamo sul significato politico di questa parola. Essa non sta ad indicare la giustapposizione di partitini, miniapparati e gruppi dirigenti che restano diversi tra loro e ciascuno impermeabile agli altri, ma un vero melting pot in cui tutti si lascino attraversare dalle culture femministe, ambientaliste, altermondialiste,mantenendo come spina dorsale essenziale le culture e la storia del movimento operaio italiano.In questa ottica devo confessare che trovo troppo statica e ossificata la versione fornita da Salvi e Villone della identità socialista del nostro movimento. Mi sembra soprattutto priva di fecondità politica.Non c’è dubbio alcuno sul fatto che noi ci sentiamo, fin dal nostro atto di nascita, una forza della sinistra socialista italiana ed europea ed è assai probabile che “ se stessimo in un altro paese europeo saremmo nel partito socialista di quel paese e ne costituiremmo l’ala sinistra”. Ma la storia ha voluto che qui da noi non sia disponibile una SPD e che un partito socialista di una certa entità, come erano i DS, sia stato sciolto.La cultura socialista che ci appartiene e di cui andiamo fieri non può quindi congelarsi con la pretesa di imporsi ad altri. Si valorizza di più e dà un contributo maggiore allo stesso socialismo europeo se si arricchisce nel confronto e nella pratica politica con altre culture ed altre esperienze sociali.A meno che non si pensi che SD debba virare verso una diversa agenda politica e cioè quella della “costituente socialista”. Prospettiva che non condivido ma che considero del tutto rispettabile. Andrebbe però esplicitata.Certo che non tutto è nelle nostre mani. La possibilità di un nuovo spazio politico della sinistra, in cui viga il principio e la pratica di “una testa un voto”, passa anche per l’esito dei congressi dei Verdi e di Rifondazione che si terranno nel mese di luglio.Ma noi non dobbiamo, non possiamo stare fermi : in queste settimane, così piene di inquietudini e di amarezza, dobbiamo aprire le nostre sedi a tutti, convocare assemblee pubbliche, inaugurare dove possibile nuove “case della sinistra”, cominciare a costruire la nostra agenda di opposizione al Governo Berlusconi e alle giunte locali di destra, essere presenti il più possibile sui media altrimenti si consolida tra la gente la convinzione che noi siamo davvero estinti e che l’unica opposizione alla destra rimane quella piaccia o no del partito democratico.
Il nostro percorso nell’immediato
Almeno tra di noi dobbiamo dirci la verità. Abbiamo bisogno subito, come ho detto, di una forte iniziativa pubblica e ad essa occorre intrecciare quel processo innovativo di partecipazione e di coinvolgimento democratico descritto in modo da me condiviso da Salvi e Villone. Chi fa tutto questo ? Chi lo organizza ?Le condizioni di salute impediscono a Fabio Mussi di continuare a svolgere il ruolo di coordinatore del nostro movimento. A lui dobbiamo tutti un pieno grazie per l’intelligenza e la passione con cui ci ha guidato fin qui. Continuerà ad essere con noi ma senza il ruolo politico e operativo di prima fila per il quale si è speso senza risparmio.Ma le sue dimissioni cadono in un momento per noi davvero drammatico non solo per le ragioni politiche generali di cui stiamo discutendo ma anche per una condizione materiale di enorme difficoltà.Il nostro movimento viveva dei contributi economici di parlamentari che non abbiamo più e il rimborso pubblico delle spese elettorali è talmente basso, perché bassa è la percentuale di voti ottenuta, che servirà a malapena a coprire le effettive spese sostenute.Compagne e compagni che hanno lavorato fin qui per SD sono costretti a cercare altre collocazioni professionali.Possiamo, senza rischiare la paralisi, restare ancora a lungo senza neanche un coordinatore legittimato nella misura possibile ? Io credo proprio di no e penso soprattutto che sfioreremo il grottesco se nelle condizioni in cui siamo ci dovessimo dividere sul nome del coordinatore o se, come mi pare propongano Salvi e Villone, il suo nome dovesse scaturire come esito della vasta consultazione sulla quale, come ho detto, in sé concordo.Questa consultazione invece di essere concentrata sulla politica, rischierebbe di tradursi, anche a prescindere dalle intenzioni soggettive, magari in una conta di delegati a sostegno dell’uno o dell’altro, e in una gara paradossale.Torno a dire che ci vuole umiltà e senso della misura. Il Comitato nazionale di SD, convocato già per il 10 maggio, proceda dunque alla nomina del nuovo coordinatore con grande serenità : non dobbiamo eleggere il Presidente della Repubblica ! Nella stessa sede si decida un primo piano di iniziative, le forme del dibattito interno e le persone disponibili ad organizzare l’una e l’altra cosa.Poi, ripartiamo. Nella campagna elettorale abbiamo potuto misurare la generosità e le energie di migliaia di militanti del nostro movimento. Da qui si ricomincia. Insieme e con una rinnovata solidarietà tra tutti noi.