sabato 7 marzo 2009
8 marzo
Per una donna di sinistra della mia generazione pensare all’8 marzo è ripensare un po’ alla propria vita, o almeno alle sue tappe più significative. E’ ripensare a ciò che eravamo e interrogarsi su chi siamo diventate e su chi sono le ragazze di oggi. Di questi tempi invece,l’8 marzo è una specie di rito che ognuna vive come crede e come sa. E’ una giornata ormai consumistica e forse consumata, una festa per nostalgiche femministe come per giovani rampanti, occasione per riflettere seriamente sulla condizione femminile o ripescare nel ruolo di patrono un personaggio volgarmente “macista” come Franco Califano.
Ciò che non è più possibile fare è ignorare questa giornata. Insomma si può dire che ogni donna ha l’8 marzo che si merita e ne fa ciò che vuole. Una cosa è certa: in questo giorno è possibile fotografare una autentico spaccato della ricchezza delle differenze e delle disparità che attraversano le donne. L’8 marzo, insomma, si è trasformato in tanti 8 marzo, sentiti e vissuti in modi anche molto distanti. Per la mia generazione l’8 marzo era soprattutto caro alle donne di sinistra. Anzi apparteneva simbolicamente alla sinistra. quanti volantini davanti alle fabbriche femminile, quanti cortei –per il divorzio, per l’aborto, contro la violenza sul corpo femminile. Quanti dibattiti sulle pari opportunità nel lavoro come nella politica, quante feste nelle sedi sindacali, soprattutto della Cgil, insieme a gioiose pensionate e a cesti pieni di mimose. quante feste in sezioni, per un giorno occupate dalle donne, ma in partiti ancora fortemente maschilisti. quanti mazzetti di mimose: dal compagno di partito o dal compagno nella vita, da un collego di lavoro o da un ammiratore, da una persona cara come da uno sconosciuto.. Ma l’8 marzo restava sempre una festa nostra, delle donne “consapevoli, impegnate, di sinistra”. Oggi no. L’8 marzo appartiene a tutte e a tutti e dunque un po’ si imbastardisce; come tutte le cose che sfuggono di mano e diventano “popolari”. E l’8 marzo è semplicemente oggi una festa popolare, con chi va a ballare e a divertirsi, e chi organizza convegni. Con chi spende e chi ci guadagna. Ma non è un male che almeno per un giorno il mondo appaia popolato da donne e che ognuna sia costretta a vestire i panni del proprio “genere”. Ciò che non va è che prima e dopo l’8 marzo ognuna torni a casa sua e se la brighi da sola. Come sa e come può. Eppure le cose non vanno come vorremo, come molte di noi avevano sognato che andassero. Eppure dopo tante battaglie per i diritti civili e le libertà che hanno caratterizzato il 900 è ancora possibile che nel Parlamento Italiano si discuta una legge sul testamento biologico che nega proprio ogni possibilità al testamento biologico, che troppe donne tornino a fare carriera grazie alla “protezione maschile” anziché ai loro meriti, che la precarietà del lavoro sia soprattutto femminile, che gli asili siano ormai servizi di lusso, che le donne “così cambiate” non possano vivere in un paese che cambia. Non disperdiamo allora la nostra riflessione sul valore o sul destino di una giornata, l’8 marzo, che tutto sommato –data l’età- dimostra di difendersi ancora abbastanza bene. Pensiamo piuttosto a riprenderci la parola perché il femminismo non sia stato inutile e perché la sinistra torni ad essere additata da una nuova generazione di ragazze. quelle che magari l’8 marzo vanno a ballare o festeggiano anche con i maschi ma che si aspettano il resto dell’anno di non essere lasciate sole.
Lalla Trupia (SD Nazionale)
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