martedì 16 settembre 2008
il cordoglio da solo non basta
Oggi tutti pronunciano parole diverse, finalmente.
Troppo grande la tragedia del giovane italiano (sì, italiano) di colore ammazzato a bastonate domenica mattina. Troppo grande per essere affrontata solo con il dolore e con il cordoglio alla famiglia. Troppo grande per non mettere in discussione parole, atteggiamenti, cultura (sì, cultura) con cui da un tempo troppo lungo si parla e si agisce a Milano e non solo.
Questo omicidio non deve essere usato per fare manifestazioni o per dire “avevo ragione”: un primo modo per cambiare è quello di non cedere alla tentazione di “usare” tragedie e problemi.
Dobbiamo guardare un po’ più a fondo nelle cose. Cosa c’è a Milano? Come è già cambiata questa metropoli, se – come pare – una violenza diffusa cova sotto la sua pelle? Cosa si muove – nell’ombra dei quartieri e nella oscurità delle coscienze – e cosa può improvvisamente emergere in uno scoppio di violenza?
Non c’è una causa sola, naturalmente: grandi organizzazioni criminali, traffico di stupefacenti, utilizzo nell’economia legale delle grandi disponibilità di denaro illegale; lavoro nero e pericoloso che si alimenta anche della povertà diffusa (tra gli immigrati ma non solo, come è sempre successo in tutti i paesi e in tutte le storie) e emarginazione sociale; caduta delle soglie della convivenza per la scomparsa di certezze sul presente e sul futuro; comportamenti violenti nella vita quotidiana minuta (nei locali, nel traffico, nelle scuole).
Non è sociologia (e che ci sarebbe di male, poi?) né giustificazionismo: sono questi i grandi blocchi di questioni cui mettere mano e rimandano alla necessità di pensare e praticare una politica alta – nella ispirazione, nella proposta, nei programmi – che possa iniziare a cambiare lo stato delle cose presenti e che, anche per questo, possa tornare ad essere uno dei punti di riferimento per una società più civile perché ha ragioni e strumenti in cui riconoscersi.
Tuttavia un problema enorme è tutto di fronte a noi. E’ passata l’idea che sia possibile fare giustizia da sé. E’ cresciuta la insofferenza perché comportamenti pubblici e poteri istituzionali hanno “fatto campagna”, perché invece di perseguire i reati si sono additate le etnie o le culture, perché la necessaria attenzione alla sicurezza delle persone – e in particolare quelle più in difficoltà perché sole o anziane – ha dato il via a tante parole e decisioni che rendono le nostre città un luogo di esasperato controllo.
Le cose sono più complicate delle ordinanze dei sindaci, soprattutto quando ci sono poi gli scoppi – nemmeno più tanto improvvisi e nemmeno isolati – di violenza privata.
Vogliamo parlare della legalità, delle condizioni indispensabili per assicurarla e garantirla. Vogliamo contribuire a ricostruire un clima di fiducia e collaborazione, tra le persone e nei luoghi della vita civile – dal quartiere allo stadio. Vogliamo che siano prevenuti e repressi i reati, rafforzando i corpi dello Stato e non con (piccole) parate di pura apparenza.
Ricostruzione del tessuto civile e ricostruzione delle città, non come aggregato di costruzioni ma come insieme delle persone che vi abitano, vi lavorano e cercano un presente ed un futuro, come luogo delle opportunità e dei diritti, come luogo dei doveri dei cittadini e dei poteri pubblici e privati: questo è quanto pensiamo e per cui vogliamo impegnarci, insieme a molti altri, partiti, associazioni, sindacati, soggetti collettivi e individuali.
Milano, 15 settembre 2008
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento