lunedì 7 gennaio 2008

60 anni di Costituzione

La Carta è vitale e attuale. Parla di diritti e libertà, occorre davvero rispettarla!

di Michele Prospero*

Quella che ha appena compiuto sessant’anni è il prodotto politico più importante della storia dell’Italia unita. Quando Togliatti disse che in Italia non si poneva più alcun problema di rivoluzione (perché la rivoluzione era già stata fatta con l’antifascismo e la sua portata innovativa era stata raccolta in modo del tutto coerente nella Costituzione) coglieva a pieno il senso profondo di discontinuità racchiuso nella Carta firmata da Terracini. Confluivano in essa tra fecondi filoni di pensiero. Il catalogo classico delle libertà civili (quelle più care al liberalismo) vi entrava a far parte in un modo organico e con una apertura concettuale del tutto sconosciuta allo statuto albertino, così ostile ai diritti di libertà, refrattario alla stessa parità formale dei soggetti. Il nucleo valoriale della cultura cattolica veniva recepito in più ambiti (in taluni, come nell’istituto della famiglia, e, ancor più, nel rapporto tra Stato e chiesa, anche con evidenti restrizioni rispetto ad un maturo principio di libertà) e con alcuni aggiustamenti semantici assai rilevatori: dal soggetto astratto si transitava alla persona, figura concettuale assai più pregnante nel situare l’individuo in una trama di relazioni sociali, di formazioni intersoggettive. E qui si innervava anche la sensibilità marxista che immetteva nella costituzione l’aggancio tra cittadinanza e lavoro in un quadro di idea espansiva, non statica, della eguaglianza. Le piccole libertà solidali ospitate nella Costituzione (salute, lavoro, istruzione, vita dignitosa, vecchiaia) traggono alimento proprio da questa accezione marxista-aristotelica della eguaglianza declinata come dato non puramente astratto ma riferito al compito positivo di superare condizioni reali di vita che producono differenziali di potere tra i soggetti.
Il merito dei redattori della carta del ’48 è stato dunque quello di armonizzare i tre livelli costitutivi (e pertanto ineliminabili) di un concetto sobrio di eguaglianza. Il primo è quello della generalizzazione, ben esplicitato nelle categorie liberali di soggetto e di individuo. Entro questo piano, per forza di cose, astratto e generalizzante, si raccoglie la portata moderna di un’eguaglianza formale che respinge ogni status ascrittivo. Per quanto attiene il godimento dei diritti di libertà (pensiero, fede, associazione, circolazione, suffragio) non valgono infatti status ma compare solo il soggetto astratto depurato ben inteso dalle incrostazioni economico-patrimonialistiche cui l’aveva costretto l’approccio liberale classico. Il secondo livello dell’eguaglianza, quello immesso soprattutto per impulso della cultura cristiana, si riferisce non più al cartesiano homo clausus sprovvisto di legami con il mondo e con gli altri ma alla persona concreta che con-vive in un contesto intersoggettivo. E’ un’idea relazionale dell’eguaglianza assunta anzitutto come rete di rapporti intersoggettivi ingaggiati entro le maglie della società civile pluralista e composita. L’impianto personalistico apre l’esplorazione del mondo giuridico verso lidi sconosciuti per il puro soggetto astratto. Il terzo livello dell’eguaglianza, quello di provenienza marxista, suggerisce di cogliere il soggetto non solo come persona concreta ma anche come corpo che lavora e entra in rapporto non solo di apertura altruistica ma di dipendenza e di subordinazione. Matura così una nozione inclusiva di eguaglianza la quale postula che nella vita reale di relazione tra i soggetti si pongano vistose asimmetrie di potere sociale dipendenti in primo luogo dalla diversità dei possessi e dal plusvalore sociale derivante dal controllo degli strumenti della produzione materiale
E’ in fondo qui collocato il nucleo di un’idea concreta di libertà che sgorga dalla consapevolezza che il mercato e le sue strutture competitive-concorrenziali pongono di continuo problemi inediti di eguaglianza da promuovere per conservare una plausibile versione di cittadinanza. La funzione sociale che la costituzione reclama per la iniziativa economica privata significa appunto l’acuta consapevolezza che la crescita economica sprigiona sempre nuove disuguaglianze e tocca alla sfera pubblica rimediare alle asimmetrie di potere con politiche pubbliche efficaci. La libertà dal mercato e dalle sue connaturate spinte disgregatrici racchiude il progetto di vita buona abbozzato nella Costituzione. La costruzione artificiale, politica dell’eguaglianza ne è il corollario essenziale. Non c’è cittadinanza politica coerente se il mercante non diventa cittadino (accettando il principio di progressività del regime fiscale, la funzione sociale della ricchezza dell’intrapresa privata). E non si definisce alcuna prospettiva di vita buona se dal soggetto astratto non si discende fino al piano prosaico del lavoro come esperienza vitale significativa e causa di una assai diversa collocazione degli individui nelle sfere della produzione materiale. La tutela e la promozione dell’essere sociale porta la Costituzione repubblicana a contestare alla radice la sovranità dell’avere e la funzione di integrazione sociale conferita al contratto e al denaro. Ci sono prestazioni e ambiti vitali che la costituzione sottrae in maniera trasparente al mercato e all’incombenza del principio patrimonialistico. Questi sono la salute, l’istruzione. Quando la carta vieta il finanziamento pubblico della scuola privata esplicita che la formazione del soggetto non può essere contaminata dalle considerazioni utilitaristiche del mercato. Quando l’articolo 36 parla di un salario che consenta una esistenza libera e dignitosa sgancia la remunerazione del lavoro dalla pura logica della domanda e dell’offerta e sottrae la misura della remunerazione delle prestazioni dal saggio di profitto.
Come ogni dichiarazione dei diritti, anche il catalogo delle libertà solidali aperto dalla costituzione del ’48 rimanda all’empirico e mutevole rapporto di forza per decidere la copertura effettiva dei principi di giusta ed equa organizzazione sociale. La primavera della costituzione non a caso dura fino agli anni ottanta, fino a quando cioè la crescita economica marcia insieme alla maturazione dei diritti. L’autunno della Costituzione incomincia proprio quando irrompe una fase diversa dell’economia globale che separa in maniera irreparabile i meccanismi della accumulazione della ricchezza e i processi di ampliamento dei diritti. Percorsi oggettivi dell’economia e mutamenti nelle culture politiche dei soggetti hanno via via infiacchito il corpo della Costituzione. Le riforme costituzionali adottate in Italia (proprio dal Centro-sinistra!) spingono verso una territorializzazione della cittadinanza, un autentico ossimoro costituzionale. I maldestri riformatori del titolo quinto della costituzione nel 2001 hanno così costituzionalizzato la diversità territoriale come base per un godimento differenziato dei diritti della persona Sulla base di una furbesca e un po’ truffaldina scomposizione concettuale tra lo Stato e la Repubblica è stato aggirato il fermo divieto costituzionale a finanziare le scuole private. Il divieto- si dice- riguarda lo Stato, non già la Repubblica. Gli argini al mercato sono in gran parte saltati. La stessa via di un costituzionalismo europeo ha troppo a lungo esaltato il momento della concorrenza a scapito della edificazione di uno spazio sociale europeo. Come se davvero si desse libera concorrenza in uno spazio spezzato da territori tra loro in competizione sul piano dei regimi fiscali e dei diritti sociali fruibili. Una ripresa della stagione dei diritti non potrà che avvenire su un piano metanazionale, entro cioè una prospettiva di costituzionalismo europeo. Peccato che la consapevolezza di questo aggancio europeo sia piuttosto fragile.
Il trionfo di una cultura mercantile e la decomposizione dei partiti hanno reso di sicuro molto più fragile la Costituzione. La destra (Berlusconi ha sempre definito “sovietica” la costituzione) ha pensato bene nella passata legislatura di interrompere la vigenza della Costituzione repubblicana con una megariforma di 57 articoli che stravolgeva da cima a fondo l’impianto della Carta. Con il referendum che in maniera del tutto inatesa (e nell’assoluta mancanza di mobilitazione dei partiti) ha bocciato sonoramente i propositi costituenti della destra, la Costituzione ha avuto un suo secondo atto di nascita. Peccato che quel referendum cruciale sia stato dimenticato e presto rimosso dall’agenda politica. Solo con questa insana volontà di oblio sì spiega la ineffabile contorsione di Dario Franceschini che oggi tesse sperticate lodi del presidenzialismo assoluto (la vada pure a spiegare a un costituzionalista cattolico dalla rara e raffinata cultura delle regole come Leopoldo Elia la pretesa forza attrattiva delle istituzioni golliste). Accanto a indispensabili misure difensive della Costituzione da sconsiderate pratiche demolitrici, si pone oggi anche un problema impellente di declinazione di nuove libertà in tutti i campi cosiddetti eticamente sensibili. Nell’immenso campo dei nuovi diritti, la stessa costituzione peraltro offre la sponda solida per letture estensive capaci di coprire con nuove regole di libertà i temi della sessualità, della coppia, della famiglia, della vita e della morte, dell’ambiente e dei beni culturali.

*Docente di Filosofia politica e componente il Comitato promotore di Sd

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