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«Lo sapevo, quindi non so»
Alessandro Robecchi
Pasolini diceva «io so», era rivoluzionario. L'Italia di oggi, praticamente in coro, dice «lo sapevo», ed echeggia come un suono fesso. Il caso Rai-Mediaset è soltanto l'ultimo in cui il «si sapeva» è risuonato tonante e potente. E si sapeva sì! Se scompare Enzo Biagi e al suo posto arrivano Max e Tux, chi poteva non vedere, non capire? Naturalmente il «si sapeva» ha una sua straordinaria peculiarità: assolve in qualche modo ciò che si sapeva, anestetizza il fatto. Se lo conoscevi già, e ci vivevi in mezzo, e sei qui a raccontarlo e a dire «si sapeva», vuol dire che non era così grave. E poi, cose del passato: l'imperfetto non mente. Michele Serra si è giustamente augurato che gli anticorpi arrivino durante la malattia, non dopo, a fare gli spiritosi e a dire «lo sapevo». Però.
Però è un fatto che quando gli anticorpi arrivano puntuali, quando qualcuno si agita un po' e dice «io so», invece di dire dopo «lo sapevo», viene trattato come un mezzo matto. Chi dice «io so» in tempo reale è sempre minoranza, o trattato come un rompicoglioni. Qui si parla di infedeltà aziendali e asservimenti politici, ed è grave. Ma rallegriamoci: ci sono cose ancor più gravi su cui pochi oggi dicono «io so» e molto domani diranno «lo sapevo». Le future pensioni dei lavoratori instabili saranno da fame. Io lo so. Lo sanno anche gli economisti, che cominciano a valutare le curve dei consumi di una categoria a venire, già prevista dalle statistiche, quella dei pensionati poveri. Dire «lo sapevo» tra dieci o vent'anni sarà soltanto una beffa in più. Eppure la sensazione è che chi dice «io so» prima, o durante, passa sempre per incendiario, ideologico, guastafeste e provocatore. Insomma, un irrequieto che disturba il manovratore. Lo stesso manovratore che tra qualche anno dirà «lo sapevo». Proprio come succede oggi con il naufragio del maggioritario.
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